Latina: caporali, scempi e nuovi mostri al Circeo
Istantanee dall’Agro Pontino Dal caso della mancata nomina del presidente del Parco all’ultima inchiesta sul caporalato, viaggio in un territorio, tra abusivismo e mafie, che dalle destre si è votato alla Lega
Tra i ricchi e gli schiavi ci sono le dune. Tra le dune e la Pontina c’è Sabaudia, disposta ai piedi del promontorio del Circeo, la magnifica gobba sfregiata da una iniezione super abusiva di circa 100 mila cubi di cemento, nell’area detta del “Quarto caldo”, che dopo quarant’anni le ruspe finanziate dall’Ente Parco hanno finito di rimuovere, restituendo in limi
ne mortis alla legge la sua forza. Sabaudia è connessa in spirito, e non solo, a Latina, Fondi e Sperlonga. Le magnifiche quattro dell’Agro Pontino, cinque con San Felice al Circeo, e formano un club esclusivo in cui il movimento di pensiero, insieme economico e, diciamo così, culturale, trasforma spesso il vizio in virtù, e interpreta, sovvertendone i canoni, l’illegale in legale, l’insolito con il possibile. Forse è per questa ragione che tre giorni fa, il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, generale di brigata, indica Antonio Ricciardi, generale dei carabinieri, come presidente del Parco Nazionale del Circeo. E forse è sempre per questa ragione che la nomina non passa, si blocca nella commissione parlamentare che deve ratificarla. “È una questione di metodo”, dichiara la Lega, il partito oggi monopolista quaggiù, dove Matteo Salvini è acclamato come l’erede della destra romantica, di quella muscolare e di quella imprenditoriale.
Cambio di scena. Ventiquattro ore dopo lo stop parlamentare, una retata manda in prigione alcuni schiavisti, i cosiddetti “caporali”, più un sindacalista e un ispettore del lavoro, per la gestione disumana dei braccianti agricoli, 20mila immigrati nell’area. “La pacchia è finita”, dice immediatamente Angelo Tripodi, capogruppo leghista alla Regione, già personal trainer e responsabile risorse umane della palestra PalaFitness di Latina. Finora la “pacchia” – se vogliamo chiamarla così – è dei padroncini, gli imprenditori agricoli, molti dei quali entusiasticamente di centrodestra. Hanno la fortuna di far raccogliere lattuga e rafano, fragole e melanzane a disgraziati che accettano una stalla per dormire, disponibili a lavorare 10-12 ore al giorno prima per 2, poi 3, oggi forse (calcolo ottimistico) per 4 euro all’ora, sempre meno della metà del dovuto. Quando la fatica era troppa – e questi sono sempre i verbali di polizia a raccontarcelo –, allora le metanfetamine, le droghe, rendevano possibile lo sforzo. Erano i sikh, l’etnia preponderante ingaggiata dal lontano Punjab, a utilizzare pure la droga per far fronte all’impegno. Docili, pazienti, disciplinati. Senza contributi, senza ferie. La pacchia, sì.
“Oggi gli ultimi degli ultimi non sono più i sikh. Il tempo li ha resi meno docili, la fatica e i soprusi li hanno indotti a denunciare le condizioni di lavoro impossibili. E infatti è iniziato, come dimostra questa inchiesta, il rimpiazzo con i romeni e i richiedenti asilo. Questi, per la fragilità della loro condizione, accettano ogni tipo di rapporto, e statuiscono una progressiva discesa agli inferi che permette all’imprenditoria locale,