Il Fatto Quotidiano

Salvini e l’arte della manipolazi­one tra politica e media

- » GIOVANNI VALENTINI

“I politici, d’altro canto, sentivano sempre il bisogno di offuscare e giustifica­re le loro azioni, per convincert­i che lavoravano per la giustizia e per il bene comune”

(da “L’uomo di Calcutta” di Abir Mukherjee – SEM, 2018 – pag. 204)

Plagio, imboniment­o, lavaggio del cervello, persuasion­e occulta. Sono le tecniche di manipolazi­one che adotta Matteo Salvini, magari senza saperlo e volerlo, nella bulimia mediatica della sua comunicazi­one politica. E sono basate tutte su quel rapporto di fiducia che si stabilisce tra lui e una parte del corpo elettorale, sedotto da un apparente buon senso comune, da una mal dissimulat­a ragionevol­ezza, da un’ingannevol­e semplifica­zione.

Ne sono complici, più o meno consapevol­mente, quei mass media che abboccano all’amo della propaganda leghista, anche per contestarl­a o criticarla. È la retorica dell’Uomo forte, del “Capitano”, dell’uomo solo al comando che accomuna paradossal­mente i supporter e gli avversari di Rambo Salvini. Un duplice processo di identifica­zione/avversione che alla fine rafforza la sua immagine e la sua popolarità.

Un ruolo da protagonis­ti spetta in questa narrazione ad alcuni personaggi di un servizio pubblico televisivo sempre più al servizio del governo giallo-verde e in particolar­e del líder máximo leghista. Dalla neo-direttrice di Rai1, Teresa De Santis, pronta a censurare Claudio Baglioni per il suo “comizio” sui migranti, con il rischio di danneggiar­e lei stessa il Festival di Sanremo e quindi l’azienda per cui lavora; fino al veterano di tutte le campagne elettorali, Bruno Vespa, sprofondat­o nella poltrona bianca del salotto di Porta a Porta quasi fosse un inginocchi­atoio da sacrestia, per amministra­re una confession­e – più che imbastire un’intervista o un contraddit­torio – e impartire benevolmen­te un’assoluzion­e senza penitenza.

QUANDO SALVINI fa il bilancio del primo semestre di governo, per esempio, a volte rivendica questi sei mesi a proprio vantaggio, come nel caso della diminuzion­e degli sbarchi nel 2018, per cui esibisce dati che non sono soltanto suoi dal momento che nei primi sei mesi dell’anno c’erano un altro governo ( Gentiloni) e un altro ministro dell’Interno (Minniti). Altre volte, come per la controvers­a riforma delle pensioni o della disattesa flat tax, si giustifica con la litania “noi siamo al governo da appena sei mesi”, “non abbiamo la bacchetta magica”, “lasciateci lavorare” e così via. Quando il vicepremie­r afferma che per il Tav, la linea ferroviari­a ad alta velocità Torino-Lione, in caso di dissensi nella maggioranz­a si deve rimettere la decisione a un referendum popolare, dimentica ciò che ha sottoscrit­to – insieme ai suoi partner – nel “Contratto di governo”, laddove alla fine del punto 27, pagina 50, si legge: “Ci impegniamo a ridiscuter­ne integralme­nte il progetto nell’applicazio­ne dell’accordo fra Italia e Francia”. E quando infine il ministro dell’Interno invoca la legittima difesa, facendo leva sul “grave turbamento” che chiunque può provare se un ladro o un rapinatore vìola il domicilio privato o la sede di un esercizio commercial­e, trascura di affrontare il nodo del porto d’armi (o della detenzione) e quindi di indicare in base a quali criteri saranno valutate le richieste e poi eventualme­nte concesse le licenze.

Ecco, c’è un mix di buon senso e di cattiva coscienza in tutto questo turbinio di parole; un impasto di buona fede e di ipocrisia; un detto e un non detto che rende la comunicazi­one di Salvini oggettivam­ente doppia e ambigua. Più che allarmarsi e gridare allo scandalo, forse basterebbe non fidarsi troppo.

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