CSM, LA MALAFEDE DI CARRIERISTI E“CORRENTISTI”
Il precedente Csm – quello che il vicepresidente Legnini definiva nelle sue seriali esternazioni, il migliore degli ultimi anni – è riuscito nella invidiabile (si fa per dire) impresa di farsi bocciare per ben tre volte dal giudice amministrativo la nomina all’incarico direttivo di procuratore di Modena di un pm che occupava un posto semidirettivo (l’aggiunto Lucia Musti) anziché a chi già da otto anni era titolare di un posto direttivo (il procuratore di Rimini, Paolo Giovagnoli).
TALE ESITO appariva, peraltro, scontato perché la terza delibera – quella nuovamente annullata dal Consiglio di Stato l’8 gennaio 2019, adottata dal Csm il 25 luglio 2018 (impropriamente) in prossimità della sua scadenza – conteneva, come rileva il Cds, “una valutazione che sembrava confermare la semplice ricerca di una addizione motivazionale a una decisione in realtà già ‘pre-acquisita’”.
La motivazione della delibera – redatta dal membro togato Palamara ( per anni presidente dell’Anm) – si fondava su argomentazioni poco convincenti. Come la “sua (della Musti) più ampia capacità di promuovere e garantire il ‘ lavoro di squadra’ al l’in te rn o dell’ufficio giudiziario con la piena valorizzazione dei colleghi e del personale creando nel contempo le condizioni per ‘protocolli di intesa’con altre amministrazioni”; o come il “particolare rilievo” della “istituzione del Das (Definizione affari semplici) – formato dalla dott.ssa Musti e da alcuni componenti delle aliquote di polizia giu- d i zi a r ia ” – cui la predetta “era giunta esaminando la posta giornaliera”. O ancora la circostanza che “la Musti aveva curato la formazione del personale di Pg per garantire il corretto utilizzo di modelli standard per la trattazione degli affari definiti semplici” (la Pg, in verità, dovrebbe essere adibita a svolgere attività investigati- va più che amministrativa).
A questo “record” si è aggiunta una valanga di annullamenti di nomine sempre dal precedente Csm: a) procuratore di Trani; b) procuratore di Venezia; c) quattro presidenti di sezione della Cassazione; d) presidente sezione Tribunale di Potenza; e) procuratore aggiunto della Dna (ribadita dopo un primo annullamento); f) presidente Corte di appello di Lecce. Gravi sono le accuse che il Cds muove all’organo di autogoverno: “Il Csm manifestava una irragionevole incoerenza nell’attività amministrativa”; “insistita illegittimità ed elusività dell’operato del Csm”; “intento elusivo di sottrarsi al vincolo confermativo da giudicato”; “in uno Stato di diritto il primato del diritto accertato mediante sentenze passate in giudicato vincola ogni amministrazione pubblica”.
E questi sono solo alcuni dei tanti esempi dimostrativi, da un lato, di un delirio di onnipotenza per cui il Csm ritiene di non dover sottostare alle decisioni dei giudici e, dall’altro, del grave grado di degenerazione correntizia che comporta nella gestione dell’ordine giudiziario disfunzioni, ritardi, incertezze, condizionamenti, lesione dei diritti di singoli magistrati, sicché si impone l’abrogazione di qualsiasi immunità per consentire, in caso di comprovati abusi e favoritismi, il ricorso del magistrato danneggiato alla giustizia.
ONNIPOTENZA
Il Consiglio Superiore della Magistratura spesso si sottrae alle decisioni dei giudici: lo bacchetta anche Palazzo Spada
I CASI CITATI dimostrano, altresì, la malafede dei “co rre nti sti ” e “carrieristi” che si oppongono al sistema di estrazione a sorte dei membri togati. Quello che preoccupa è che il ministro di Giustizia – che aveva preannunciato una riforma del Csm col sistema misto sorteggio/elezione –, intervistato a Presadiretta, si è, invece, schierato per un sistema di elezione attraverso piccoli (quanto?) collegi: sistema inidoneo a impedire la infiltrazione correntizia, posto che nessun magistrato – salvo che si chiami Davigo – potrà mai superare i candidati sostenuti dalle correnti. Forse bisogna dare ragione a quell’autorevole magistrato del Csm che già nel 1970 affermava: “La magistratura è ingovernabile”.