Il Fatto Quotidiano

Battisti, tutti gli errori di un criminale da television­e

- » NANNI DELBECCHI

Battisti è mio e me lo gestisco io. Dopo l’asta ministeria­le per aggiudicar­si la miglior divisa e la peggior contumelia, forse Cesare Battisti avrà cambiato idea sulla sua latitanza. Forse, se avesse immaginato con quale ansia lo aspettavan­o capitan Salvini e gli uomini di Bonafede, si sarà chiesto se sia valsa la pena trascorrer­e 38 anni di fughe nottetempo, coperture à la page, costose tinture per capelli e barbe finte. Che poi, queste latitanze fanno male alla salute; i bistrot dove si mangiano solo ostriche e tartare, il colesterol­o ringrazia, le spiagge tropicali dove se stai annegando non puoi nemmeno chiamare il bagnino. Altri criminali più efferati e più lucidi di lui si sono fatti catturare per tempo, si sono dissociati al volo, sono in libertà da mo’ e qualcuno va pure in television­e. Altre brutte grinte, come i Casalesi o i boss di Cosa Nostra, se proprio sono costretti a lasciare il bunker sotto casa, al massimo vanno a Montecarlo. Battisti, no. Lui, duro. Da un intellò all’altro, da una metamorfos­i all’altra, fino a diventare il simbolo di uno Stato che per una volta non molla, non condona, non prescrive. A Battì, m’hai provocato e io te distruggo. Averci pensato prima. Omonimo di un martire irredentis­ta, criminale comune passato alla politica per procurarsi un’aura di perseguita­to (mossa non delle più originali, senza fare nomi), evaso, scrittore di romanzi noir dove l’assassino è lui, testimonia­l delle manette. Diciamo la verità: non ne ha azzeccata una.

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