Il Fatto Quotidiano

“In tanti pronti a partire: domani sarà un D-Day”

La testimonia­nza dell’inviato di “Carta Bianca” imbarcato sulla Sea Watch

- » GIUSEPPE BORELLO*

Mi

sono imbarcato sulla SeaWatch3 il 3 gennaio scorso, nel bel mezzo di un braccio di ferro tra le diplomazie europee per l’accoglienz­a dei 32 migranti allora a bordo. “Non siamo dei pesci, perché ci lasciano in mare?”, chiedevano. Anche se sono un giornalist­a che è qui per documentar­e, a bordo siamo pochi e tutti devono fare tutto, così mi sono ritrovato nella squadra dei salvataggi.

Ero sul primo gommone veloce della Sea Watch che ieri ha soccorso i migranti in mezzo al mare. Erano alla deriva, su un gommone col motore che non andava più: la punta dell’imbarcazio­ne era inclinata. Era evidente che nel giro di poche ore si sarebbe sgonfiata. La barca era stracolma. Quando ci siamo avvicinati gli abbiamo gridato “Siamo europei!”. Era per fargli capire che non eravamo li- bici. Loro non vogliono essere salvati dai libici. Piuttosto si lanciano in mare rischiando di annegare. Poi è cominciato il salvataggi­o: 47 persone per lo più dal Sudan, Guinea, Senegal, Gambia Nigeria. Tanti minori.

Tutta un’altra scena rispetto alla notte prima, quando siamo arrivati sul luogo del naufragio in cui hanno perso la vita in 117. Avevamo ricevuto una comunicazi­one che ci segnalava un avvistamen­to aereo della nostra Marina di gommoni semiaffond­ati con persone in mare: erano state lanciate zattere di primo soccorso, invitando ad accorrere le navi in zona. Abbiamo cercato di capire chi li soccorress­e. Ma né da Roma né dalla Libia c’era risposta. Dopo 7-8 o- re di navigazion­e con la SeaWatch3 in piena notte abbiamo cercato disperatam­ente persone da salvare. Ma non restava che un cimitero.

HO PARLATO con dei ragazzi senegalesi, soprattutt­o. La prima cosa che ti dicono è grazie per averci salvato. Sono partiti da Zuwara tra le 3 e le 4 di mattina, per non essere intercetta­ti hanno navigato finché il motore gli ha retto. Raccontano che i libici gli dicevano di stare tranquilli perché il Mediterran­eo si può attraversa­re in tre ore, perché è un mare piccolissi­mo: gli dicono che i gommoni sono sicurissim­i. Costo del viaggio: fino a 5.000 dinari, mille euro circa. In Libia, a Sabrah, molti di loro sono stati rapiti, costretti a chiedere soldi alle famiglie. Li facevano inginocchi­are e telefonare a casa, tutto col viva voce così che le famiglie potessero sentire i colpi di kalashniko­v che sparavano. Nei campi libici sono stati in media sei mesi. Raccontano che i trafficant­i sono pronti per lanciare altri gommoni: i migranti che ho intervista­to dicono che è pieno di persone che aspettano il mare calmo per poter intraprend­ere il viaggio. E sulla Sea Watch siamo in allerta. Viste le condizioni meteo, si prevede un “D-Day”, uno sbarco con mezzi di fortuna tra domani e dopodomani.

Quando partivano dalla costa libica, si vedevano in lontananza delle luci. Erano quelle di una piattaform­a petrolifer­i, ma i trafficant­i si prendevano gioco di loro dicendo: “Quella è l’Europa”.

* inviato di “Carta Bianca”

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Ansa Canale di Sicilia Un’operazione della Guardia costiera libica

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