Venezuela anno zero: Maduro il socialista che volle farsi Re In cerca di alleati
Maduro ha definito il presidente del Brasile un “Hitler dei nostri giorni” e ha accusato la Colombia di aver ordito con gli Usa un golpe contro di lui
VICINI DIFFICILI
Il secondo mandato del presidente Nicolas Maduro, iniziato lo scorso 10 gennaio, vede l'erede di Chávez sempre più isolato a livello locale e internazionale, ma deciso a rimanere al potere fino alla scadenza naturale nel 2025.
Per la prima volta nella storia del Venezuela democratico, il presidente ha giurato davanti ai giudici del Tribunale supremo elettorale (Tsj) anziché davanti all'Assemblea Nazionale, ovvero il Parlamento, perché questa è presieduta dall'opposizione che si rifiuta di considerarlo il legittimo capo dello Stato e ha dato il via a un processo per la sua destituzione e la formazione di un governo provvisorio, in attesa di nuove elezioni.
A CAPOdi questo eventuale esecutivo ad interim verrebbe messo l'attuale presidente dell'Assemblea, il giovane Juan Guaidó. Il leader dell’opposizione, dopo aver citato un articolo della Costituzione venezuelana che prevede il trasferimento del potere al presidente dell’Assemblea nazionale nel caso in cui la presidenza sia vacante, domenica scorsa è stato arrestato da alcuni funzionari del Sebin (il servizio d'intelligence) nonostante l'immunità di cui gode essendo un deputato. Per evitare nuove manifestazioni a suo favore da parte della po- polazione indignata da questo ennesimo atto dispotico, il ministro della Comunicazione e Informazione, Jorge Gomez, è corso ai ripari dichiarando “che l'arresto è stato irregolare ed è avvenuto senza l'approvazione dei vertici del governo”. Dopo il rilascio Guaidò ha commentato: “Se i funzionari hanno deciso di loro iniziativa, vuol dire che Maduro non controlla più le forze armate”. Si tratta però di un auspicio, più che di un dato di fatto: il Sebin da ottobre è stato infatti spostato sotto l'autorità dell'esecutivo, cioè di Maduro, che sembra ancora in grado di controllare le forze dell'ordine.
Guaidò dopo essersi auto-proclamato presidente ad interim ha indetto una manifestazione generale per il 23 gennaio. In realtà il Parlamento di Caracas non è ancora riuscito ad acquisire la forza politica per imporsi sul caudillo sostenuto, secondo molti analisti, anche dai cartelli del narcotraffico. Tre anni fa, due nipoti di Maduro, muniti di pas- saporto diplomatico, furono arrestati ad Haiti con un carico di cocaina.
In ambito internazionale, Maduro oggi non ha più contro solo gli Stati Uniti ma anche Luis Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, che ha definito Guaidó “presidente ad interim”.
LA SITUAZIONE tragica dei venezuelani costretti a fuggire a centinaia di migliaia soprattutto negli Stati limitrofi per la scarsità di cibo e medicine, oltreché per l'inflazione monstree la disoccupazione, ha costretto molti Paesi a prendere le distanze da Maduro. Canada, Colombia, Brasile, Perù, Argentina, Honduras, Guyana, Costa Rica, Guatemala, Panama, Paraguay, Santa Lucia, che costituiscono il gruppo di Lima, hanno definito il governo del presidente “dittatoriale e oppressivo” e hanno disertato la cerimonia di insediamento. Maduro ha risposto per le rime definendo il nuovo pre-
Il Parlamento forma governo provvisorio, l’erede di Chávez apre le porte alla Turchia per sfruttare i giacimenti
sidente brasiliano Bolsonaro un “Hitler dei nostri giorni” e ha accusato la Colombia di aver ordito con gli Stati Uniti un golpe contro di lui. Bogotà, da parte sua, ha svelato di aver avviato un'indagine su ipotetiche trame per assassinare il presidente Ivan Duque, che potrebbero coinvolgere tre venezuelani, arrestati negli scorsi giorni.
Non sorprende che al fianco di Maduro sia rimasta la Russia di Putin, e uno dei suoi più forti sostenitori è il presidente turco Erdogan a cui Maduro ha concesso di sfruttare in esclusiva i giacimenti di oro, coltan e diamanti venezuelani, lasciandogli il 45% dei profitti.
A oggi nessuno è in grado di prevedere se il braccio di ferro tra Maduro e Guaidò porterà a una guerra civile o a una uscita di scena del presidente.
Intanto, ci si interroga sulla sorte dei quasi 200 mila emigrati italiani nel Paese bolivariano e dei circa due milioni di italiani oriundi. Migliaia stanno tentando di tornare in Italia, ma le domande inviate ai consolati non ottengono risposta. Per loro l'unica nota positiva è che se hanno bisogno di medicine, d'ora in poi potranno riceverle dall’Italia: il consolato generale d’Italia a Caracas è responsabile operativo del progetto “Programa de donación de medicamentos para ciudadanos italianos en Venezuela”.