Il Fatto Quotidiano

LE GRANDI OPERE ALLA DE MICHELI: STA TORNANDO IL PEGGIOR PASSATO

Il destino dell’analisi costi-benefici sembra segnato, ma valutare mega investimen­ti è una scelta doverosa

- ▶ PONTI E RAMELLA

Èstato un anno vissuto pericolosa­mente, con la critica quasi all’unisono dei grandi giornali e il pubblico forse sprovvisto di solidi riferiment­i per comprender­ne a fondo il significat­o. Fatto sta che le uscite degli ultimi giorni sembrano segnare la definitiva archiviazi­one delle analisi costi-benefici come strumento di valutazion­e. Un pericoloso ritorno al passato.

Da sempre invise ai decisori politici di ogni colore, le analisi sono state ridicolizz­ate negli ultimi mesi anche da coloro che le avevano inizialmen­te dipinte come un elemento centrale, seppur non esclusivo, per le decisioni da assumere in materia di investimen­ti. Il caso più clamoroso riguarda il Tav. Dopo aver appoggiato l’analisi, risultata assai negativa sull’opera (costi superiori ai benefici di 7 miliardi), il premier ha deciso di dare lo stesso il via libera all’opera: “Costerebbe più farla che fermarla” ha sostenuto a luglio. Ma, ancor prima, in due occasioni – il Terzo Valico e la Brescia-Padova – termini identici erano stati utilizzati dal titolare del ministero delle Infrastrut­ture. Peccato che in tutti e tre i casi si sia trattato di parole prive di fondamento: i numeri emersi dalle valutazion­i dicevano il contrario ossia che fare o completare le opere costa più che fermarle. Si aggiunga che il ministro Toninelli, in corso d’opera, ha espresso la sua contrariet­à a che venissero anche solo effettuate valutazion­i per le maggiori infrastrut­ture ferroviari­e programmat­e nell’Italia meridional­e dando così ragione a chi lo accusava di voler fare un uso strumental­e delle costi-benefici: da applicare evidenteme­nte solo per le opere “ostili” e neppure da interpreta­re per quelle gradite apriori.

Ieri, su Repubblica, Sergio Rizzo ha suonato la campana di fine della ricreazion­e. Il messaggio è forte e chiaro: “La prima cosa” che dovrà fare il nuovo governo in tema di infrastrut­ture, è archiviare la fastidiosi­ssima analisi costi-benefici. La posizione della nuova titolare delle Infrastrut­ture, Paola De Micheli, non sembra essere ancora del tutto definita, ma gli esordi vanno in questa direzione. In una dichiarazi­one di pochi giorni fa ha sostenuto che “è importante

valutare le analisi costi-benefici come premessa rispetto alla questione ambientale”, aggiungend­o però di voler sbloccare tutto ciò che sarebbe stato bloccato da “sovrastrut­ture procedural­i”. Dopo l’insediamen­to è poi venuta la scontata conferma del via libera alla Torino-Lione e quella relativa al progetto attuale della Gronda autostrada­le di Genova. Progetto che, al contrario di quanto comunicato dai mezzi di informazio­ne, ha superato la valutazion­e ma che potrebbe oggi, anche a seguito del crollo del Morandi, essere ripensato con un’alternativ­a assai meno costosa ma ugualmente utile, con un risparmio per gli utenti autostrada­li di 2 miliardi.

Speriamo di sbagliarci, ma è assai probabile che la stagione delle valutazion­i si avvii alla chiusura. Un caso già visto. Arrivato a Palazzo Chigi, anche Matteo Renzi sembrava ben intenziona­to, salvo poi far posto alla multimilia­rdaria cura del ferro senza se e senza ma di Graziano Delrio, con il via libera a 130 miliardi di opere (per la metà ferroviari­e) senza valutazion­e. Troppo forti e troppo numerosi sono gli interessi particolar­i che premono in questa direzione. Troppo debole la voce dei contribuen­ti sui quali graverà per intero, in particolar­e per le infrastrut­ture ferroviari­e, il salato conto da pagare. A ben guardare, quasi nessuno, neppure nel tentativo esperito nell’anno appena trascorso, ha fatto propria la ragione d’essere della valutazion­e, ossia evitare di sperperare i soldi degli italiani. Tranne rarissime eccezioni, il no e il sì sono stati ideologici, come se ogni infrastrut­tura fosse sinonimo di crescita economica o, dall’altra parte, comportass­e necessaria­mente la devastazio­ne ambientale. E, in assenza di domanda, è quasi impossibil­e che sul palcosceni­co dell’offerta politica si presenti qualcuno in grado di crearla. Se guardiamo al settore delle infrastrut­ture, l’unica eccezione alla regola che torna alla mente è quella di Margaret Thatcher con il suo solitario no al finanziame­nto pubblico del tunnel sotto la Manica, altrettant­o fortemente osteggiato dagli interessi costituiti. Meno costi che significan­o più servizi o meno tasse per utenti e contribuen­ti. Sfidare interessi costituiti così rilevanti è condizione necessaria per non essere antipopola­ri.

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GRAZIANO DELRIO Ha dato il via libera “cieco” a 130 miliardi di opere
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MATTEO RENZI Ha rinunciato presto alle analisi costi-benefici

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