Gualtieri, pazza idea: al Mef il boiardo cacciato da Conte
Il ministro vuole come capo di gabinetto il consigliere di Stato Garofoli, che il premier aveva fatto dimettere 9 mesi fa dopo uno scoop del Fatto
Avolte ritornano, si sa. Se sono consiglieri di Stato, però, tornano sempre. Solo che il caso di cui parliamo rischia di essere il primo serio infortunio del governo giallorosé: secondo plurime fonti accreditate, infatti, il nuovo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha intenzione di nominare come suo capo di gabinetto Roberto Garofoli, dimessosi da quella carica meno di un anno fa su pressioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
GAROFOLI, CHI ERA COSTUI? Si domanderà il lettore. È appunto un magistrato del Consiglio di Stato con ricca carriera nelle istituzioni che inizia ad altissimo livello - e non a caso - con Massimo D’Alema: fu il capo dell’ufficio legislativo del ministro degli Esteri del Prodi 2. Ascese poi al ruolo di capo di gabinetto con Monti accanto al ministro della P.A. Filippo Patroni Griffi, peraltro suo collega al Consiglio di Stato. Di lì in poi il trionfo: segretario generale di Palazzo Chigi con Enrico Letta e ancora capo di gabinetto, però stavolta al ministero dell’Economia con Pier Carlo Padoan ( governi Renzi e Gentiloni) e persino con Giovanni Tria (Conte 1) fino al dicembre del 2018, quando si dimise.
E qui questo breve curriculum incrocia la recente cronaca politica in un modo che può risultare imbarazzante per l’alleanza tra Pd e 5 Stelle. Prima di ricordare i fatti va chiarita una cosa e per farlo ricorreremo a una frase, Guido Crosetto: “Sapete chi comanda nei ministeri? Chi credete che scriva le Finanziarie di Tremonti?”. Le risposte alle domande retoriche dell’ex sottosegretario dei governi Berlusconi erano: i burocrati e Vincenzo Fortunato, diciamo il Garofoli degli anni di Tremonti.
Il magistrato - insieme a tutti gli altri tecnici degli anni del Pd - era stato riconfermato a sorpresa da Tria. In pochi mesi, però, entrò in conflitto con la sua maggioranza e, in particolare, col lato grillino: troppa continuità col passato. Un’ostilità che emerse pubblicamente a settembre con la pubblicazione di un audio in cui il portavoce del premier, Rocco Casalino, si esprimeva in modo colorito e vagamente minaccioso sui “tecnici del Mef”. Neanche un mese dopo arrivò la storia della “manina”. Raccontarono all’epoca da Palazzo Chigi che Conte scoprì nel decreto fiscale una norma apparentemente senza padre politico: un testo non rivendicato da alcun ministro - e dunque frutto di quella che sui giornali viene chiamata “manina” - che assegnava 84 milioni di euro in tre anni alla gestione commissariale della Croce Rossa, ente in liquidazione coatta, necessari - pare - a pagare la liquidazione dei dipendenti. Parecchi soldi che allarmarono Conte, il quale pretese lo stralcio della norma, difesa in quella riunione proprio da Garofoli nonostante un parere contrario di oltre 20 pagine dell’Avvocatura dello Stato.
La faccenda della “manina” poi si complicò ulteriormente quando Il Fatto Quotidiano scoprì e scrisse che, giusto alla fine del 2017, Garofoli, dopo anni di contenzioso proprio con la Croce Rossa, s’era accordato con la gestione commissariale per l’acquisto di una parte di un immobile a Molfetta, in Puglia, di cui il giurista e l’ente pubblico erano comproprietari: quell’immobile è divenuto poi un B&B di lusso.
Sempre Il Fatto raccontò poi la fiorente impresa editoriale di Garofoli, la società editoriale Neldiritto, intestata a sua moglie, che pubblica libri e tiene corsi per aspiranti avvocati e magistrati: alcuni degli autori, peraltro, ebbero incarichi proprio al ministero dell’Economia. Alla fine, nonostante le resistenze di Tria, fu Conte a imporne le dimissioni non appena approvata la legge di Bilancio.
ORA GAROFOLI potrebbe tornare a via XX Settembre al posto del suo successore, Luigi Carbone, anche lui consigliere di Stato per cui dicono si stia spendendo l’ex ministro Franco Bassanini (ma Carbone ha ottimi rapporti anche con la viceministra M5S, in odore di riconferma, Laura Castelli): potenza della filiera detta “dalemiana”, corrente politica e congerie umana a cui è attribuibile anche il neoministro Gualtieri. È tanto vero che l’altro nome in corsa per quella poltrona è quello di Claudio De Vincenti, economista ed ex ministro, nonché membro del comitato d’indirizzo di ItalianiEuropei.
Chi è Pugliese, classe 1966, magistrato del Consiglio di Stato. È stato capo di gabinetto in vari ministeri e governi: Esteri (Prodi); Pa (Monti); Economia (Renzi, Gentiloni e Conte)