Ma quel conflitto non riguarda soltanto Berlusconi
“L’Italia ha bisogno di una seria legge sul conflitto di interessi, con una contestuale riforma del sistema radiotelevisivo improntato alla tutela dell’indipendenza e del pluralismo”
(dalle Linee di indirizzo programmatico del governo Conte II, punto 11)
Mentre il nuovo governo giallorosso inserisce nel suo programma il buon proposito di disciplinare il conflitto d’interessi, insieme a una riforma del sistema radiotelevisivo, fa specie leggere su un glorioso giornale regionale del gruppo Gedi (Fiat-De Benedetti), come Il Secolo XIX di Genova, un articolo intitolato “Norme attese da 25 anni. Ma con il Cav. ai margini sarebbe accanimento”, a firma di Marcello Sorgi. La tesi dell’autore, e non è l’unico a sostenerla, è che l’idea di introdurre una nuova legge in materia “sembra un po’sparare sulla Croce rossa”. Ma in realtà il conflitto d’interessi (al plurale, interessi politici e interessi economici) non riguarda e non ha mai riguardato soltanto Silvio Berlusconi. Né l’eventualità che in futuro alle elezioni si candidi Urbano Cairo, patron della rete La7 e del Corriere della Sera. Riguarda piuttosto un principio basilare di democrazia economica che vale erga omnes, nei confronti di chiunque si trovi – appunto – ad avere interessi in conflitto fra loro.
A SUO TEMPO, sarebbe dovuto valere anche per Susanna Agnelli, sorella dell’Avvocato, azionista della Fiat e del giornale di famiglia La Stampa, quando girava il mondo per conto del governo italiano come ministro degli (Affari) Esteri. E oggi, si ripropone per la Casaleggio Associati, a causa dei rapporti opachi fra la piattaforma Rousseau e il Movimento 5 Stelle.
Quello di Berlusconi era e rimane, però, un caso del tutto speciale. Il suo conflitto originario derivava dalla condizione di essere contemporaneamente un tycoon e un parlamentare, capo di un partito o addirittura del governo. Sua Emittenza aveva e ha tuttora lo “status” di concessionario pubblico, perché controlla un gruppo che ha un contratto con lo Stato per l’affitto delle frequenze (pubbliche) su cui trasmette i programmi televisivi delle sue reti (private) e attraverso cui raccoglie la pubblicità. Non c’è, dunque, nessun “inspiegabile accanimento” personale.
Tanto più sorprende che a trascurare questo elemento sia una testata genovese che, su un piano analogo, ha sperimentato sulla pelle della sua città la tragedia del crollo del ponte Morandi, anch’esso affidato in concessione a una società privata (gruppo Benetton). Non a caso lo stesso programma di governo, dopo aver annunciato che “occorre tutelare i “beni comuni”, aggiunge: “Anche le nostre infrastrutture sono beni pubblici ed è per questo che occorre avviare la revisione delle concessioni autostradali”.
La verità è che la legge sul conflitto d’interessi, varata nel 2004 dal centrodestra e concepita dall’allora ministro Franco Frattini, era una legge ad personamnel senso che era ritagliata su misura a favore di Berlusconi. E per di più, fu neutralizzata dal combinato disposto con la legge Gasparri sulla riforma televisiva e soprannominata perciò dal sottoscritto “legge Frasparri”. Tant’è che anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa criticò pubblicamente quel provvedimento, esprimendo il timore che potesse ledere il pluralismo dell’informazione.
Passano gli anni, crollano i ponti, cambiano le maggioranze e i governi, ma la storia è sempre quella. E per quanto Berlusconi abbia imboccato il viale del tramonto, come scrive l’autore dell’articolo sul Secolo XIX, il suo conflitto d’interessi rimane. Ma lui, con il dovuto rispetto per l’età, tutto è tranne che la Croce rossa.