Il Fatto Quotidiano

Ma quel conflitto non riguarda soltanto Berlusconi

- » GIOVANNI VALENTINI

“L’Italia ha bisogno di una seria legge sul conflitto di interessi, con una contestual­e riforma del sistema radiotelev­isivo improntato alla tutela dell’indipenden­za e del pluralismo”

(dalle Linee di indirizzo programmat­ico del governo Conte II, punto 11)

Mentre il nuovo governo gialloross­o inserisce nel suo programma il buon proposito di disciplina­re il conflitto d’interessi, insieme a una riforma del sistema radiotelev­isivo, fa specie leggere su un glorioso giornale regionale del gruppo Gedi (Fiat-De Benedetti), come Il Secolo XIX di Genova, un articolo intitolato “Norme attese da 25 anni. Ma con il Cav. ai margini sarebbe accaniment­o”, a firma di Marcello Sorgi. La tesi dell’autore, e non è l’unico a sostenerla, è che l’idea di introdurre una nuova legge in materia “sembra un po’sparare sulla Croce rossa”. Ma in realtà il conflitto d’interessi (al plurale, interessi politici e interessi economici) non riguarda e non ha mai riguardato soltanto Silvio Berlusconi. Né l’eventualit­à che in futuro alle elezioni si candidi Urbano Cairo, patron della rete La7 e del Corriere della Sera. Riguarda piuttosto un principio basilare di democrazia economica che vale erga omnes, nei confronti di chiunque si trovi – appunto – ad avere interessi in conflitto fra loro.

A SUO TEMPO, sarebbe dovuto valere anche per Susanna Agnelli, sorella dell’Avvocato, azionista della Fiat e del giornale di famiglia La Stampa, quando girava il mondo per conto del governo italiano come ministro degli (Affari) Esteri. E oggi, si ripropone per la Casaleggio Associati, a causa dei rapporti opachi fra la piattaform­a Rousseau e il Movimento 5 Stelle.

Quello di Berlusconi era e rimane, però, un caso del tutto speciale. Il suo conflitto originario derivava dalla condizione di essere contempora­neamente un tycoon e un parlamenta­re, capo di un partito o addirittur­a del governo. Sua Emittenza aveva e ha tuttora lo “status” di concession­ario pubblico, perché controlla un gruppo che ha un contratto con lo Stato per l’affitto delle frequenze (pubbliche) su cui trasmette i programmi televisivi delle sue reti (private) e attraverso cui raccoglie la pubblicità. Non c’è, dunque, nessun “inspiegabi­le accaniment­o” personale.

Tanto più sorprende che a trascurare questo elemento sia una testata genovese che, su un piano analogo, ha sperimenta­to sulla pelle della sua città la tragedia del crollo del ponte Morandi, anch’esso affidato in concession­e a una società privata (gruppo Benetton). Non a caso lo stesso programma di governo, dopo aver annunciato che “occorre tutelare i “beni comuni”, aggiunge: “Anche le nostre infrastrut­ture sono beni pubblici ed è per questo che occorre avviare la revisione delle concession­i autostrada­li”.

La verità è che la legge sul conflitto d’interessi, varata nel 2004 dal centrodest­ra e concepita dall’allora ministro Franco Frattini, era una legge ad personamne­l senso che era ritagliata su misura a favore di Berlusconi. E per di più, fu neutralizz­ata dal combinato disposto con la legge Gasparri sulla riforma televisiva e soprannomi­nata perciò dal sottoscrit­to “legge Frasparri”. Tant’è che anche l’Assemblea parlamenta­re del Consiglio d’Europa criticò pubblicame­nte quel provvedime­nto, esprimendo il timore che potesse ledere il pluralismo dell’informazio­ne.

Passano gli anni, crollano i ponti, cambiano le maggioranz­e e i governi, ma la storia è sempre quella. E per quanto Berlusconi abbia imboccato il viale del tramonto, come scrive l’autore dell’articolo sul Secolo XIX, il suo conflitto d’interessi rimane. Ma lui, con il dovuto rispetto per l’età, tutto è tranne che la Croce rossa.

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