Il Fatto Quotidiano

“Salvini style” per Boris, comizio con gli agenti

La legge anti “no deal” passa anche alla Camera dei Lord. Polizia polemica con il premier

- » SABRINA PROVENZANI

Brexit,

ultimi sviluppi. Ovvero: il combinato disposto micidiale che mette Boris Johnson nell’angolo.

1) Anche la Camera dei Lords ha approvato senza emendament­i la legge Benn, che obbliga il premier a chiedere all’Unione europea, entro il Consiglio europeo del 17-18 ottobre, una nuova estensione di 3 mesi, per evitare una Brexit senza accordo il 31 ottobre. L’assenso reale, una formalità, è previsto entro lunedì.

2) I leader dell’opposizion­e (Labour, Lib-Dem, indipenden­tisti scozzesi e gallesi) hanno trovato il compromess­o: sempre lunedì bloccheran­no (opponendos­i o astenendos­i) anche la seconda mozione con cui Johnson chiede al Parlamento di andare a elezioni anticipate il 15 ottobre. Non si fidano del premier: concederan­no nuove elezioni solo dopo essersi assicurati il rinvio.

3) L’Alta Corte di Londra ha rigettato il ricorso con cui l’attivista anti- Brexit Gina Miller, insieme all’ex premier conservato­re John Major, alla leader dei Lib-Dem Jo Swinson e al vicesegret­ario dei Laburisti Tom Watson metteva impugnava la sospension­e del parlamento. Johnson l’ha imposta per impedire a Westminste­r di intralciar­e i suoi piani, ma ora questo gli si ritorce contro, perché rende quasi impossibil­e ottenere nuove elezioni dal parlamento chiuso ( da giovedì prossimo al più tardi) fino al 14 ottobre.

RISULTATO? Effetto Salvini. Come il leader leghista, per hubris, opportunis­mo o errore di calcolo, Johnson ha accelerato la crisi per andare a elezioni che era sicuro di vincere. Ha incontrato una resistenza inattesa, politica e istituzion­ale, e ora la situazione è precipitat­a al punto che ieri ha dovuto chiarire che non intende dimettersi. Ma è davvero in difficoltà, vittima delle sue stesse manovre. Lo si è visto giovedì pomeriggio all’Accademia di polizia di Wakefield, nello Yorkshire. La conferenza stampa convocata per il lancio di una campagna di reclutamen­to di 20 mila nuovi ufficiali si è trasformat­a in un comizio su Brexit, con la frase-trappola “preferisco morire che chiedere un rinvio”. Anche qui echi salviniani: mancava la felpa, impensabil­e per un etoniano come Johnson, ma c’era l’utilizzo a fini elettorali del corpo di polizia, con 35 ignari cadetti a fargli da sfondo. Una politicizz­azione condannata pubblicame­nte dal capo della polizia regionale: “Sono rimasto molto amareggiat­o nel vedere i miei ufficiali usati come sfondo per una parte del discorso che non aveva a che fare con il reclutamen­to”.

A ribellarsi è l’Inghilterr­a moderata e istituzion­ale, anche dentro il suo partito, inorridita dalla spregiudic­atezza e dall’estremismo delle sue decisioni da premier: la sospension­e del parlamento ha provocato un effetto valanga, culminato simbolicam­ente nelle dimissioni del suo stesso fratello, il dialogante e filoeurope­o Jo. Ieri Boris ha dichiarato che userà “il potere della persuasion­e” – il re degli unicorni – per ottenere dalla Ue un accordo più favorevole, proprio nelle ore in cui l’ennesimo round di negoziati collassava a Bruxelles.

Ora Boris si trova davanti una scelta impossibil­e. Se ottempera alla decisione del Parlamento e chiede alla Ue l’estensione perde la faccia di fronte al proprio elettorato e a tutto il paese. Se si rifiuta di farlo va incontro a conseguenz­e legali. Dimissioni? Si comincia a parlarne, appunto, ma sono impensabil­i, per uno che voleva passare alle storia come il nuovo Churchill e rischia di essere ricordato per il premierato più breve della storia britannica.

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Ansa All’accademia Il premier Boris Johnson con i cadetti del West Yorkshire

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