Il Fatto Quotidiano

“Un figlio e i palchi mi hanno salvata dagli anni Ottanta”

- » ALESSANDRO FERRUCCI

Alla fine sembra una Wonder Woman (“Davvero? In realtà le amiche mi chiamano così”); dal lunedì al giovedì Sabrina Salerno vive in provincia di Venezia, vita agiata, borghese, sposata da venticinqu­e anni, un figlio di quindici (“studioso”), la palestra, gli impegni famigliari, varie ed eventuali; dal giovedì alla domenica si trasforma, parte per la Francia (“lì mi credono una di l or o ”), quindi pantaloni di pelle, forme in vista, e che vista, concerti (“solo nel 2019 sono a circa 150”), interviste, television­i, applausi, hotel, aerei, autisti, adrenalina e autografi: una vera star; come se il tempo fosse ancora immobile agli anni Ottanta, quando costruiva la sua immagine iconica, quando i suoi pezzi toccavano la vetta delle classifich­e (“In Inghilterr­a sono arrivata terza dietro Michael Jackson e Madonna”) e le copertine patinate con lei in mostra strappavan­o sogni agli uomini. Eppure ha delle fragilità celate, la necessità dei confini, di mascherars­i dietro l’apparenza, e così dopo il “piacere” di rito, piazza i paletti: “È in ritardo di venti minuti”. A Venezia c’è il Festival. “È comunque in ritardo”. Non fa una piega.

Donna precisa.

Eh, un po’ ( sorride).

Vive distante dallo show business.

E da anni: abitare lontano dai grandi poli di attrazione è stata ed è la mia salvezza, e poi non sopporto i luoghi affollati, i ristoranti con i tavolini attaccati l’uno all’altro; non amo le serata di gala... E i concerti?

È lavoro, altra dimensione. Ha delle timidezze.

Una parte è così, l’altra è molto aggressiva. È bella.

Mi piaccio maggiormen­te adesso, con l’età ho imparato a rapportarm­i con il fisico, lo accetto e ci gioco; negli anni Ottanta ero ossessiona­ta dall’immagine, non mi vedevo mai bella, solo difetti. Insomma, oggi?

Me ne frego. A quel tempo piazzavo perenni muri, andavo in crisi anche per le interviste: non sapevo cosa e come raccontare, non volevo che la gente percepisse la fragilità. Sorrideva poco.

È vero, totalmente in contrasto con il personaggi­o. I film del tempo li rivede?

Neanche una volta; so quando vanno in tv solo perché qualcuno me li segnala. Come mai?

Mi sembrano una realtà lontana, mi appartengo­no nella misura in cui il pubblico mi vuole vedere immersa in quella veste, ma dentro di me sono distanti. Altra storia.

Incontro persone che mi recitano le battute a memoria, e

ogni volta non riesco a celare lo stupore. Lei indifferen­te.

Ma no, neanche le ricordo. Si divertiva?

Mica tanto; anzi, neanche un pochino, vivevo il tutto con un’eccessiva carica di stress. Troppo giovane.

A 16 anni sono stata catapultat­a in un mondo abituato a correre molto veloce, e che non rappresent­ava esattament­e il mio io interiore; per questo ho giocato un ruolo dentro al quale sono rimasta imprigiona­ta. Quindi?

Ancora oggi continuo a mantenere una parte di quel ruolo perché è giusto e comodo... Quale parte?

La solarità e l’autoironia. E la fisicità. Quella supporta il resto. Su Instagram lo dimostra.

E lì mi arrivano tantissimi commenti carini, poi c’è un dieci per cento che deborda con proposte assurde. Tipo?

Non voglio dirlo, lì tocchiamo la follia, gente che pensa di poter comprare tutto. E mi ri

ferisco a gente di potere. In Spagna un libro con lei presente ha recentemen­te venduto 400mila copie. Davvero?

Sì.

Non lo sapevo (e cerca il titolo

sul cellulare); da lì è partito il mio successo: nel 1986 ancora vivevano nell’eco del franchi

smo, prede dell’archeologi­a sociale. Cioè?

Quando andavo ospite della loro television­e, trovavo un ambiente tristissim­o, e se uscivo su una rivista patinata, i giornalai venivano assediati dalle persone, con code lunghissim­e. Addirittur­a? Sono entrata nella scia del boom economico e sociale, anzi in qualche modo ho personific­ato quel periodo, una donna-bambina con le forme del corpo accentuate. Un fenomeno.

Ricordo una mattina: mi sveglio, colazione, arrivano i

Non ci siamo mai piaciuti, anzi ci stavamo antipatici: con lui ero acetosa pur percependo il suo acume deciso, ma cattivo

PAOLO VILLAGGIO

giornali e mi trovo sulla copertina di un importante settimanal­e, e sopra il titolo: “La nuova malattia: la sabrinite”. E lei?

Stupita ma senza esagerare: a quel tempo alcuni ragazzini erano stati cacciati da scuola perché pizzicati con le mie foto; del “sabrinismo” se ne parlava ai telegiorna­li. E oggi?

La Spagna è cambiata tantissimo, anche in peggio: adesso si parla solo di gossip, sono ossessiona­ti, con programmi terribili. Non la spaventava tutto questo clamore?

Forse sì, ma ci sono momenti nella vita nei quali devi scegliere. Quanti anni ha suo figlio?

Quindici.

Solo un anno rispetto a quando lei è stata investita dal successo. ( Cambia tono). Oddio, non riesco a immaginarl­o. (ci pensa). Non è stata una passeggiat­a, non è stato facile. Però...

Ce l’ho fatta; nelle mie fragilità mi ritengo una delle per

sone più forti che conosco. Quando oggi sale palco, ha ancora il brivido?

Riesco a convogliar­e l’ansia dentro la prestazion­e, la sfrutto per la performanc­e; rispetto a un tempo sono in grado di gestire la situazione, non ho paranoie; comunque in Francia pensano sia una di loro e c’è anche l’Inghilterr­a. Top della classifica.

Negli anni Ottanta sono arrivata ai vertici.

Le amiche del tempo come la trattavano?

Non ne avevo tra le coetanee.

Neanche una?

Vivevo in una gabbia dorata, nessuno poteva avvicinars­i, con una serie infinita di filtri che alteravano la realtà; per me era impossibil­e uscire laicamente con una persona, quindi è stato naturale perdere ogni contatto con i contesti comuni. Ultima uscita con una coetanea?

A ridosso dei 16 anni, poi è iniziato il mio percorso.

Mestiere di rinunce, dicono i suoi colleghi.

È fuori vero. appare Assolutame­nte. il contrario; E io al ho di veramente folle, e in quegli corso anni in ho maniera capito tutto era meglio e dopo ignorare ho compreso dei punti, che che no lasciarsi era preferibil­e andare e e opportu- vivere. “Ho perso vissuto opportunit­à borderline, e qualche ho Più miliardo”, di qualche parole miliardo, sue. ma tanto è inutile pensarci.

Sesso, droga, e rock.

Mai drogata. Alcool.

Lo adoro, però non lo reggo molto. E ho iniziato a 24 anni. Tra la sua immagine e quello che racconta, c’è l’abisso.

E che non me ne rendo conto? Quando la gente mi parla o mi scrive secondo la percezione che ha di me, vivo una sorta di straniamen­to. Come si giudica da attrice?

Brava, era la mia strada, specialmen­te a teatro, poi sono stata sviata dal mondo della musica. Cosa legge?

L’ultimo libro che ho preso in mano e finito è quello di Massimo Recalcati, Mantieni il

bacio, regalo di mio figlio.

Da genovese ha conosciuto bene Beppe Grillo.

Gli voglio bene, ma al tempo era un uomo un po’ triste e introverso; spesso si eclissava, un po’ lo stereotipo del comico: la tipica situazione a due facce, ben divisa tra spettacolo e vita privata. Un classico.

Chi da questo punto mi ha stupita maggiormen­te è Giorgio Faletti: alcune volte siamo stati a cena insieme, solo io e lui, eppure non parlava quasi mai. Imbarazzan­te.

No, però mi interrogav­o, perché di solito sono in grado di discutere con i muri, mentre con lui vigeva il silenzio; veramente un tipo particolar­e e lui credeva molto in me, voleva cambiare la mia carriera, mi coinvolgev­a in alcuni possibili progetti. Sempre da genovese ha conosciuto Villaggio. Il suo Fantozzi non sono mai riuscita a guardarlo, detesto quel personaggi­o: mi suscita una tristezza infinita, ma riconosco la grande intelligen­za di Paolo. Era sua amica?

Non ci siamo mai piaciuti, anzi ci stavamo antipatici, e con lui non seguivo l’andazzo delle altre, pronte a un atteggiame­nto accondisce­ndente e

burroso; con lui ero acetosa nonostante percepissi il suo acume deciso, ma cattivo. E Fantozzi nasce da questo. Cattivo.

Chi ha concepito un personaggi­o come Fantozzi deve essere necessaria­mente in possesso di una violenza rara, con in sottofondo il genio. Ha cantato a Mosca quando c’era l’Urss.

Ed è stato incredibil­e; ho avuto paura: quando sono salita

sul palco, e avevo appena 19 anni, mi sono trovata di fronte a cinquantam­ila persone e senza alcun preavviso. Che vuol dire?

Immaginavo qualche migliaio, non cinquantam­ila, e mi sono spaventata perché ogni volta che mi muovevo sul palco, il pubblico stesso mi seguiva come un’onda: temevo qualche incidente, tanto che a un certo punto mi sono immobilizz­ata, fissa in un punto. Com’era l’Urss?

Ovviamente un altro mondo, e si avvertiva un certo fascino, una stratifica­zione storica, una realtà non comune, una sua identità, mentre adesso Mosca è una città qualunque, dove l’atmosfera non è molto differente da quelle di New York o Londra. Perdita d’identità

Attenzione: non voglio dire che preferivo il periodo comunista, ma si è passati all’estremo opposto e si è uccisa una fase storica. Secondo Amanda Lear Berlusconi era pazzo di lei.

Parola sua, ma non è stato l’unico, almeno credo, e non me ne sono neanche sempre accorta. Non le arrivavano regali imprevisti?

Quelli giungono solo se lasci intendere, se potenzialm­ente puoi essere comprata; sposarmi presto ha piazzato un argine importante. Il matrimonio è un centro di gravità.

Mi aiuta a vivere più serena.

Ha ispirato Milo Manara.

E lui mi ha portato a conoscere Federico Fellini, dovevamo parlare di un progetto, in realtà ci siamo confrontat­i tutto il tempo sugli oroscopi. Voleva studiare psicanalis­i.

Infatti ho sbagliato tutto, lì sarei stata fantastica e avrei guadagnato il triplo dei soldi. I soldi le interessan­o molto?

Solo rispetto alla mia indipenden­za, e trovo volgare esibirli, è da burini mostrare barche, aerei o gioielli. Co m’era esibirsi in playback?

Un po’un casino, non riuscivo a fingere, quindi cantavo lo stesso, anzi urlavo per sentire la mia voce e alla fine dello show restavo sistematic­amente afona. Primo autografo?

In realtà quando ero al secondo anno di liceo linguistic­o, ho firmato i diari di tutti i miei compagni, accompagna­ndo il gesto dalla frase: “Tenetelo perché sarò famosa”. Lo sapeva.

No, giocavo, era solo un sogno che avevo dentro, in realtà ero una donna bambina.

(Cantano gli Stadio in “Acqua e sapone”: “È strepitosa, donna bambina, donna vedrai bambina se lo sai. Meraviglio­sa. Stramalizi­osa. Vieni e vedrai, che cosa sentirai”).

Ero una donna bambina Adesso mi piaccio di più: da ragazza, ossessiona­ta dall’immagine, non mi vedevo mai bella. Solo difetti

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Icona pop Sabrina Salerno durante un recente concerto in Francia. Qui a destra, ritratta da Milo Manara
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Dalla Russia con amore Una giovanissi­ma Salerno si esibisce a Mosca, ai tempi dell’Urss, davanti ai militari. Sotto, con Gerry Scotti al Festivalba­r
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