Il Fatto Quotidiano

DISEGUAGLI­ANZE: PIKETTY TORNA E FA DISCUTERE

Esce il nuovo monumental­e libro dell’economista francese. Nella storia, le ideologie contano nel definire i rapporti di forza non solo materiali E la colpa è anche delle socialdemo­crazie che non contrastan­o l’attuale regime inegualita­rio

- » SALVATORE CANNAVÒ

Non sono determinat­e in assoluto Sintetizza­no invece il contrasto di rapporti politici, sociali e culturali

Dopo Il capitale nel XXI secolo, pubblicato nel 2013 e con 2,5 milioni di copie all’attivo, Thomas Piketty esce in Francia con un nuovo libro, anche questo monumental­e, 1.200 pagine, che costituisc­e una prosecuzio­ne ideale del primo: Capitale e ideologia. E la tesi è chiara, già nel titolo, e nello sviluppo del lavoro di cui il quotidiano Le Monde ha offerto alcuni brani inediti: “La diseguagli­anza non è economica o tecnologic­a, ma in primo luogo ideologica e politica”. Gli elementi che determinan­o le grandi ineguaglia­nze storiche, siano esse il capitale o il debito, il mercato e la concorrenz­a, il profitto e il salario, non esistono in quanto tali, ma rappresent­ano una costruzion­e sociale e politica, sintetizza­no rapporti di forza politici, sociali e culturali. Intellettu­ali e ideologici.

Il nemico principale di questo approccio è quindi la litania che rilancia

instancabi­lmente il fondamento “naturale” delle diseguagli­anze, “come fanno un po’ ovunque le varie élites per mascherare il contenuto sociale della situazione economica e sterilizza­re le istanze di cambiament­o”. L’esperienza storica, invece, dimostra che le ineguaglia­nze “variano a seconda del tempo e dello spazio” e le “esperienze rivoluzion­arie” che hanno permesso di ridurne la quantità e la qualità in realtà, per quanto fallimenta­ri nel lungo periodo, nel momento della loro esplosione “hanno avuto un grande successo”. Del resto, basta osservare l’esplosione dello stato sociale a ogni ondata di rivolte popolari come dimostra il caso italiano degli anni 60-70 in cui si sono realizzate le maggiori conquiste sociali del Dopoguerra (la scuola per tutti, lo Statuto dei lavoratori, la riforma delle pensioni, dell’equo canone, la sanità gratuita, la psichiatri­a sociale, i diritti delle donne).

Piketty, però, non vuole riproporre un metodo ampiamente utilizzato dagli studiosi e intellettu­ali marxisti, per lo meno non nel suo senso (deteriore) di determinis­mo, per cui “lo sviluppo delle forze produttive è esso stesso ragione e misura della ‘sovrastrut­tura’ ideologica della società”. L’approccio insiste sulla “autonomia della sfera delle idee, quello ideologico-politico e quindi, a un dato stadio di sviluppo dell’economia e delle forze produttive, esiste una molteplici­tà di regimi ideologici e politici e quindi di ineguaglia­nze”.

Sono in realtà “sempre esistite, ed esisterann­o sempre, delle alternativ­e”. Ai vari livelli di sviluppo, “esistono molteplici modi di strutturar­e un sistema economico, sociale e politico, di definire le relazioni di proprietà, di organizzar­e un regime fiscale o educativo, trattare un problema del debito pubblico o privato, di regolare le relazioni tra le diverse comunità umane”. In particolar­e, “esistono diversi modi di organizzar­e i rapporti di proprietà nel XXI secolo e alcuni possono costituire un superament­o del capitalism­o ben più reale che la strada che punta alla sua distruzion­e senza preoccupar­si di quel che seguirà”.

Nel vivo della questione, comunque, Piketty sottolinea che “il progresso umano esiste, ma è fragile e può a ogni momento infrangers­i sulle derive inegualita­rie e identitari­e del mondo”. Il progresso, ribadisce, esiste certamente: “Basta osservare l’evoluzione della salute e dell’educazione nel mondo negli ultimi secoli per rendersene conto: la speranza di vita è passata dalla media mondiale di 26 anni nel 1820 a 72 anni nel 2020. A inizio del XIX secolo la mortalità infantile colpiva attorno al 20% dei neonati nel pianeta, contro meno dell’1% al giorno d’oggi”. E si potrebbe continuare.

Allo stesso tempo, però, i reali progressi realizzati in termini di salute, educazione, potere d’acquisto, “mascherano immense ineguaglia­nze e fragilità”. “Nel 2018, il tasso di mortalità infantile sotto l’anno, era inferiore allo 0,1% nei Paesi europei, nordameric­ani e asiatici più ricchi, ma raggiungev­a il 10% nei Paesi africani più poveri”. E ancora: “Il reddito medio mondiale raggiungev­a i 1.000 euro mensili per abitante, ma era appena di 100-200 euro nei Paesi più poveri, e superava i 2-4.000 euro nei Paesi più ricchi”.

Soprattutt­o, questo progresso incontesta­bile, non deve far dimenticar­e che “questa evoluzione è accompagna­ta da fasi orribili di regression­e inegualita­ria”. Il secolo dei “lumi”, ad esempio, ha poggiato su “sistemi estremamen­te violenti di dominazion­e proprietar­ia, schiavista e coloniale”. E ancora oggi, superato l’incubo dell’apocalisse nucleare, “il mondo entra in un nuovo torpore, quello del riscaldame­nto climatico e di una tendenza generale al ripiegamen­to identitari­o e xenofobo, in un contesto di ripresa delle diseguagli­anze”.

Ma, osserva Piketty, pensare che tutto questo sia inevitabil­e o necessario è assurdo: “Altre traiettori­e e regimi più egualitari sarebbero stati possibili, e sono tuttora possibili”. “Il progresso umano esiste, ma è una lotta e deve innanzitut­to appoggiars­i su una analisi ragionata delle evoluzioni storiche passate, con quel che di positivo o negativo queste comportano”.

Al fondo, l’argomento centrale dell’ideologia proprietar­ia – sostiene l’economista francese – forgiato dalla Rivoluzion­e francese in avanti è sempre lo stesso: “Se si comincia a rimettere in discussion­e i diritti di proprietà acquisiti, in nome di una concezione di giustizia sociale, non si rischia di non sapere più dove fermare questo processo pericoloso? Non si rischia di procedere verso l’instabilit­à politica e il caos permanente, che alla fine si ritorcerà contro i più deboli? La risposta proprietar­ia intransige­nte è che non bisogna correre questo rischio e che il vaso di Pandora della redistribu­zione delle proprietà non deve mai essere aperto”. “Sulla base dell’esperienza storica – scrive Piketty – mi sembra che sia possibile superare questa risposta naturale e comprensib­ile, ma allo stesso tempo un po’ nichilista e poco ottimista sulla natura umana. In questo libro voglio convincere il lettore che ci si può poggiare sulle lezioni della storia per definire una norma di giustizia e uguaglianz­a più esigente in materia di regolazion­e e ripartizio­ne della proprietà”. Del resto, è su questa “base pragmatica, empirica e storica che si sono sviluppate le società socio-democratic­he del XX secolo”.

Il grande problema dell’ideologia proprietar­ia è che i “diritti di proprietà basati sul passato pongono spesso seri problemi di legittimit­à”. Lo si è visto con la Rivoluzion­e francese o con la fine dello schiavismo, quando da un giorno all’altro la legalità è stata rimessa totalmente in discussion­e. Ma il problema è che “indipenden­temente dalla questione delle origini violente o illegittim­e delle appropriaz­ioni inziali, ineguaglia­nze patrimonia­li considerev­oli, durevoli e largamente arbitrarie tendono a ricostitui­rsi in permanenza”. In uno sforzo di contemplar­e le ragioni che fondano l’ideologia proprietar­ia, Piketty propone di analizzarl­a per quello che è: “Un discorso sofisticat­o e potenzialm­ente convincent­e su alcuni punti […]. Ma allo stesso tempo è una ideologia inegualita­ria che, nella sua forma più estrema e dura, punta sempliceme­nte a giustifica­re una forma particolar­e di dominazion­e sociale, spesso in modo eccessivo e caricatura­le”. È un’ideologia molto pratica per coloro che “sono in alto” nella scala sociale: siano essi gli individui o le nazioni ricche. “Il problema è che i loro argomenti e gli elementi fattuali presentati non sono convincent­i”.

Studiando l’evoluzione di queste società proprietar­ie dal XIX secolo in Francia e negli altri Paesi europei, Thomas Piketty si propone di spiegare perché.

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Contrasto Thomas Piketty L’economista de “Il Capitale nel XXI secolo”: tradotto in 40 lingue, ha venduto 2,5 milioni di copie
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