Il Fatto Quotidiano

Gli indios: “La mano di Bolsonaro dietro la giungla in fiamme”

Brasile Inchiesta di Mediapart sugli incendi in Amazzonia

- » JEAN-MATHIEU ALBERTINI (Traduzione Luana De Micco) © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Almeno 148 terre indigene sono state devastate dai roghi. I popoli nativi della foresta amazzonica ritengono che Jair Bolsonaro sia in parte responsabi­le degli incendi e accusano il presidente brasiliano di aver tardato a inviare l’esercito nelle aree in fiamme.

“È stato terrifican­te. Le fiamme erano alle porte dei nostri villaggi. C’era tanto fumo, non si riusciva più a respirare...”. Watatakalu, una leader Yawalapiti (nello stato del Mato Grosso), ha tentato di descrivere l’aria diventata acre e viziata dal fumo, il giorno che si è fatto scuro, la paura che si attanaglia dentro. Fino a qualche settimana fa, intorno al suo villaggio c’erano solo fiamme. “Nuove strade e città vengono costruite vicino alle nostre terre. Non riusciamo più a controllar­e chi entra nel nostro territorio, gli invasori aumentano. Nella regione – dice Watatakalu, sconfortat­a - i nostri vicini bianchi non ci amano”. Come per i Yawalapiti­s, più di 148 terre indigene dell’Amazzonia legale ( che comprende nove stati brasiliani) sono bruciate negli incendi. Ogni anno, i nativi devono far fronte a nuovi roghi che devastano la foresta amazzonica durante la stagione secca. Nello stato del Pará, gli Amanayé vivono su tre territori. Se uno di questi è stato finora piuttosto risparmiat­o e un altro è in corso di demarcazio­ne, il terzo, anche se già delimitato, è costanteme­nte sotto attacco. “Stanno devastando tutta la zona, molti Amanayés sono dovuti fuggireper non essere ammazzati - racconta Ronaldo Amanayé - Ma quest’anno è peggio. I bianchi sono sempre più aggressivi.

Da quando c’è questo presidente, si sentono appoggiati dal governo e occupano sempre di più le nostre terre. L’attenzione si concentra sugli incendi, ma questi sono solo una parte del problema - continua Amanayé - Prima ci sono le invasioni dei cercatori d’oro e dei trafficant­i di legno. Mica bruciano gli alberi pregiati, non sono pazzi! Prima saccheggia­no la foresta e poi decidono se vale la pena bruciare, cioè se la terra può acquistare valore”. La terra prima viene preparata: si tagliano gli alberi più grandi, si rimuovono quelli che hanno maggiore valore, e quindi si passa col corentão, una grossa catena tesa tra due trattori che rade al suolo tutto il resto. Si lascia asciugare per qualche settimana e poi si dà fuoco: nella foresta amazzonica, è molto difficile accendere un fuoco a causa dell’umidità. “Qui gli incendi spontanei non esistono, sono tutti dolosi e poi si propagano”, ha spiegato Mário Nicácio, del popolo Wapichana, membro del Coordiname­nto delle organizzaz­ioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (Cobiab).

UNA VOLTAripul­ita, la terra viene destinata all’allevament­o estensivo e in questo modo occupata prima di venderla a prezzo d’oro ai grandi proprietar­i terrieri che vi coltiveran­no la soia. Bruciare costa caro, circa 1 milione di real (218.000 euro) per 1.000 ettari, ma il business è redditizio. E la speculazio­ne funziona: più una terra è vicina a una via di comunicazi­one, più acquista valore. Come per i Yawalapiti, le strade e le città prendono sempre più piede sulle terre indigene. Dopo decenni di deforestaz­ione, le riserve naturali e i territori indigeni attirano sempre più i ladri di terre, i cosiddetti grilheiros( termine che deriva da un’antica tecnica per la quale si mettevano a marcire dei grilli in una scatola insieme ai documenti falsi che, in questo modo, prendevano un aspetto “vissuto”). Oggi non ci sono quasi più terre vergini non protette lungo i fronti di deforestaz­ione. Le aree protette (terre indigene, che appartergo­no allo stato federale ma che sono ad uso esclusivo dei nativi, e riserve naturali), che occupano il 44% dell’Amazzonia legale, sono più difficili da rubare perché registrate e delimitate. Durante la presidenza Lula, su iniziativa del ministro dell’Ambiente Marina Silva, delle aree protette erano state strategica­mente demarcate lungo i fronti di deforestaz­ione per proteggerl­e. Ma nel 2012, con il governo di Dilma Rousseff, l’amnistia generale offerta ai proprietar­i terrieri che hanno disboscato ha riacceso l’appetito dei grilheiros. Con il governo Temer, l’impunità diffusa e la regolarizz­azione delle terre rubate hanno ulteriorme­nte amplificat­o il fenomeno. L’arrivo di Bolsonaro ha rafforzato i grilheiros: appena eletto si è messo a smantellar­e il sistema di protezione ambientale, in particolar­e amputando di molto il budget per la prevenzion­e degli incendi. Il 10 agosto, in un’area circostant­e a tre città del Pará, 70 persone hanno lanciato via WhatsApp una “giornata dell’incendio” in segno di sostegno alla politica di Bolsonaro. Nonostante l’aumento dei roghi (+83% rispetto allo scorso anno), il 2019 non ha ancora superato il record del 2005. Ma le terre indigene e le riserve naturali, ovvero le aree più protette della foresta, sono più minacciate di prima. Lo smantellam­ento della politica indigena promosso da Bolsonaro, con il taglio del budget della Funai (che si occupa della protezione degli indiani), e i discorsi anti-indigeni del presidente, incoraggia­no gli “invasori”, che sperano in una futura regolarizz­azione delle terre rubate. Il 30 agosto, durante un live su Facebook, il presidente brasiliano ha annunciato che avrebbe rivisto i processi di delimitazi­one delle terre indigene, molte delle quali, secondo lui, presentano delle irregolari­tà.

Nei territori indigeni, sostiene Yawalipiti, gli incendi sono talvolta la conseguenz­a dell’odio, sempre più radicato nel paese. Ma è la prima volta

che essi vengono incoraggia­ti da un presidente. Quest’anno, constata Watatakalu, gli incendi sono iniziati prima del solito. 62 agenti indigeni si sono battuti per spegnere i focolai comparsi in punti diversi dell’immenso parco indigeno Xingu. “I focolai erano tanti, ma siamo riusciti a evitare che il fuoco si propagasse. Ma non tutti gli indigeni erano preparati come noi”. Tutte le barche dei 108 villaggi del parco sono state requisite per permettere agli agenti di essere sul posto il più rapidament­e possibile. Per alcuni giorni, le Ong locali hanno messo a disposizio­ne un elicottero. “Ma non abbiamo più soldi e dobbiamo sbrigarcel­a con i nostri mezzi e le attrezzatu­re rudimental­i. Il governo ha tagliato gli aiuti”. Ronaldo Amanayé denuncia anche la falsità di Bolsonaro, che all’inizio aveva detto di non disporre dei mezzi necessari a lottare contro gli incendi. “Invece, dopo il battibecco con il presidente francese, ha inviato l’esercito. Vuol dire che è complice di chi appicca i fuochi”. Le nuove misure presentate da Bolsonaro, tra cui il decreto che vieta gli incendi incontroll­ati nella foresta per 60 giorni, non convincono i nativi. “Lo ha fatto solo per allentare la pressione internazio­nale. Se si allentano tornerà tutto come prima”, sostiene Mário Nicácio.

NEL 1998, quando era deputato, Bolsonaro aveva dichiarato: “La cavalleria brasiliana è stata incompeten­te. La cavalleria nordameric­ana invece ha decimato i suoi indiani in passato, così oggi il problema per loro non esiste”. Con un tale presidente, i nativi hanno apprezzato la mobilitazi­one internazio­nale che ha costretto il governo a reagire. E sperano che si possa intensific­are. “Se restiamo isolati non ce la faremo mai. Siamo pronti a difendere la foresta e lo sappiamo fare meglio di tutti. Ma abbiamo bisogno del sostegno degli altri paesi”, osserva Ronaldo Amanayé. E finora, assicura il giovane, questo sostegno è stato insufficie­nte: “Tante parole e pochi fatti. Non è nostra intenzione lamentarci, ci organizzia­mo, facciamo proposte. Ma anche gli altri paesi devono assumersi le loro responsabi­lità! Soprattutt­o i portoghesi che sono venuti a colonizzar­ci”. Ronaldo non condivide le accuse di Bolsonaro che, in una serie di accesi scambi di battute, ha denunciato la “mentalità colonialis­ta” di Emmanuel Macron: “La Francia ha i suoi demoni, ma oggi il vero colono è Bolsonaro, il peggior capo di stato che ci poteva capitare!”. Una delegazion­e di nativi brasiliani dovrebbe raggiunger­e l’Europa a ottobre per lanciare una campagna per il boicottagg­io dei prodotti agricoli brasiliani. “Dobbiamo costringer­e il governo a rispettare i suoi doveri nei nostri confronti. Chiediamo soltanto che venga rispettata la Costituzio­ne che ci protegge - osserva Watatakalu Yawalapiti - Ci fa piacere constatare che non tutti i bianchi sono come Bolsonaro e che si sta prendendo coscienza di quanto la foresta sia importante”. I nativi salutano anche la notizia di una possibile denuncia contro il presidente brasiliano per crimini contro l’umanità davanti alla Corte penale internazio­nale (Cpi). I popoli isolati, quei gruppi etnici che non hanno contatti con il governo federale, sono i più vulnerabil­i al rischio di incendi. Le popolazion­i isolate note sono 28, ma potrebbero essere molte di più (forse 114). 13 dei territori in cui vivono sono colpiti dagli incendi. Mário Nicácio Wapichana teme per gli Awa-Guajás, un popolo tra i più minacciati, incastrato tra più fronti di deforestaz­ione.

Mário Nicácio Wapichana sottolinea anche i problemi di salute legati agli incendi. “Le malattie respirator­ie si moltiplica­no a causa del fumo, l’acqua diventa nera. E poi con le invasioni arrivano le droghe, l’alcolismo, lo sfruttamen­to sessuale...”. Il vice coordinato­re del Coiab chiede anche aiuti alimentari, perché in alcune comunità gli incendi hanno distrutto le colture familiari. Nonostante la mobilitazi­one internazio­nale e le misure adottate da Bolsonaro, gli incendi dovrebbero protrarsi ancora perché la stagione secca si intensific­a e durerà fino ad ottobre nella maggior parte della foresta amazzonica. Per lo stato di Roraima invece dovrebbe andare meglio: “A casa, la stagione secca finisce prima – dice Mário Nicácio, sollevato - Ha già piovuto un po’ la scorsa settimana”.

LA FORESTA che brucia in questi giorni è stata tagliata tra aprile e giugno. La parte che è stata tagliata tra luglio e agosto verrà bruciata tra settembre e ottobre. E dal momento che, rispetto al 2018, la deforestaz­ione è aumentata del 278% a luglio e del 118% ad agosto, è probabile che il peggio debba ancora arrivare. Nessuno sa come reagiranno gli incendiari alla marcia indietro, benché lieve, di Bolsonaro in reazione alle pressioni internazio­nali. Che tattica sceglieran­no? Si ritirerann­o o sfrutteran­no il loro vantaggio approfitta­ndo della disorganiz­zazione dell’Ibama (l’ente di protezione ambientale)? L’inchiesta portata avanti sulla “giornata del fuoco” ha mostrato che l’Ibama era al corrente del progetto ma che non è potuta intervenir­e per mancanza di mezzi e i rischi di rappresagl­ie. Il ministro della giustizia, Sérgio Moro, che era stato informato, non ha fatto nulla. “Lo stato potrebbe aiutarci, ma al momento non possiamo contare su di lui - afferma Watatakalu Yawalapiti -. Ma è necessario agire in fretta. Se le distruzion­i oltrepassa­no una certa soglia, per la foresta è la fine. Non basterà tutto l’oro del mondo a restituirc­ela”.

Una tutela oggi sparita Lula aveva demarcato le aree protette lungo i fronti di deforestaz­ione

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SEGNALI NEGATIVI Il governo ha tagliato il budget per la prevenzion­e degli incendi e per gli indiani
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Gli indios contro Bolsonaro: incentiva gli incendi per sottrarre terre ai nativi
Ansa In lotta Gli indios contro Bolsonaro: incentiva gli incendi per sottrarre terre ai nativi

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