Miss Italia torna sulla tv pub(bl)ica
Nell’edizione appena andata in onda le testimonial sono state quattro opere d’arte Le pre-finali in museo
Il problema non sono le concorrenti o le loro aspirazioni, ma la mentalità secondo cui la bellezza delle donne è un dovere sociale
GIULIA BLASI
È una trasmissione vecchia, che veicola un’idea di donna superata Oggi reclamano la parità e la dignità e scendono in piazza
IL NO DELLA CGIL L’eterna mentalità del potere maschile: la donna ridotta a solo corpo, merce di scambio
“Antea, marcia puttana”. Ecco descritta, nelle parole di Pietro Aretino, una delle quattro testimonial scelte da Miss Italia per l’edizione 2019 che vede il suo incredibile rientro nel servizio pub(bl)ico. Il tema, originalissimo, era l’Elogio della bellezza: ancor più originale l’averlo coniugato con quattro immagini di belle ragazze effigiate inca polavori-as sol uti-del-Paese-più-bello -del-mondo. Una, dunque, è la giovane dipinta da Parmigianino: che per gli storici dell’arte da un pezzo non è più Antea, ma che invece gli orga
nizzatori della manifestazione tengono a battezzare ancora così, affezionati all’idea di offrire alle ragazze italiane del 2019 l’ispirante modello di una “cortigiana delle più favorite di Roma, la quale si domandava la signora Antea”(e questo è Benvenuto Cellini).
D’altra parte, Antea è in buona compagnia: un’altra è la Dama con l’ermellino di Leonardo, quella Cecilia Gallarani che uscì dalla povertà diventando, dai suoi 16 anni, l’amante di Ludovico il Moro. Chiarissimo, anche qua, consiglio di vita rivolto dagli organizzatori alle giovin principianti
E QUESTE sono le due vestite: poi ci sono quella mezza nuda (la Paolina Borghese di Canova), e quella senza veli, l’immancabile Venere di Botticelli. Come direbbero i giuristi, il combinato disposto delle quattro è micidiale. Ma, a modo suo, è perfettamente in tono con una manifestazione il cui problema, come ha scritto benissimo Giulia Blasi, “non sono le concorrenti o le loro legittime aspirazioni, ma la mentalità secondo cui la bellezza delle donne (e solo delle donne, “Il più bello d'Italia” non va in prima serata sull'ammiraglia Rai) è un dovere sociale, un traguardo, e una donna bella è un esempio per le altre, che devono adeguarsi o rimanere nell'ombra. Il problema è un sistema che insegna alle sue giovani donne a essere belle e a farsi guardare, e le premia per questo, senza offrire loro delle vere alternative; e insegna alle belle che è nel loro interesse stare zitte e accogliere quello sguardo, che lo vogliano o meno”.
La mentalità è sempre quella: la donna ridotta a un corpo, quel corpo ridotto a merce di scambio. È l’eterna mentalità del potere maschile: quello a cui si conformano anche molte donne di potere. Si pensi a Maria Elena Boschi, che per rispondere a una critica (del fu ministro dell’Interno) sulla sua decrepitezza politica, scelse di spostare il discorso sul proprio corpo: fotografandolo e postandolo come argomento politico al posto di idee, risultati, progetti. Così praticando, e dunque legittimando, l’idea che la donna sia sempre e solo riducibile ad un corpo esposto allo sguardo. Non una persona, ma una cosa. Né ha senso rispondere a tali analisi come fa invariabilmente la promotrice di questa fiera del corpo femminile, Patrizia Mirigliani, che strumentalizza lo slogan per cui “il corpo è mio e me lo gestisco io”. Perché la verità è che quei corpi quasi nudi che sfilano come a una mostra canina, quei corpi esaminati, pesati, mentalmente palpeggiati, non sono affatto gestiti dalle donne che li possiedono: ma sono quelle donne e i loro corpi ad essere gestiti e usati da una macchina di potere.
COME, DUNQUE, non condividere la nota in cui la Cgil ha demolito “una trasmissione vecchia, che veicola un’idea totalmente superata della donna. Nell’Italia di oggi le donne sono parte integrante del mondo del lavoro, ne reclamano la parità e la dignità e proprio per questo scendono in piazza contro il ddl Pillon, contro i reati di femminicidio, contro i tentativi politici di scardinare la legge 194 sull’aborto, per abbattere quegli stereotipi femminili ancora presenti nel paese che un concorso come Miss Italia tende ad alimentare?”
Questi inestirpabili stereotipi, d’altro canto, non minano solo la condizione della donna, ma pure quella delle opere d’arte, e del nostro intero patrimonio culturale, ridotto a merce. E infatti le pre-finali di questa così educativa e culturale kermesse dove si sono svolte? Ma in un museo, of course: il M9 di Mestre.
Da questo paradossale punto di vista, la scelta di Miss Italia 2019 ha almeno il merito, tutto preterintenzionale, di dire la verità: nella campagna promozionale la reificazione e la m er ci f ic a zi on e colpiscono sia le donne dipinte che quelle in carne ed ossa, perché su tutte domina il mercato e dunque uno sguardo (profondamente maschile) che dà un prezzo (non un valore) a ogni forma. Insomma, le opere d’arte sono ancora e sempre “carne da cannone” (così una celebre invettiva di Roberto Longhi): esattamente quanto lo sono i corpi delle giovani donne che educhiamo ad accomodarsi nella vetrina del televisore. Se, nonostante la miracolosa autoespulsione del Capitone dal governo, la Rai continuerà ad essere infeduata al machismo sovranista, per l’edizione 2020 di Miss Italia gli studiosi di pittura affilino le armi della filologia, perché ci saranno da trovare i ritratti delle altre testimonial elencate da Pietro Aretino insieme ad “Antea, marcia puttana”: “Alcina, [che] in becchi mutava gli aman ti”, “Morgana, foiosa senza fine”, e la più simpatica: “Origille, [che] sfamò i guatteri e i furfanti”. Esempi luminosi:
role models perfetti per esser proposti da Miss Italia alle moderne Figlie della Lupa. Perché crescano con sani principi, e un domani nessuno possa far suo il lamento passatista di Fabrizio De André: “Dove sono andati i tempi d'una volta, per Giunone, / quando ci voleva per fare il mestiere /anche un po’ di vocazione?”