Fermare le stragi negli Usa si può, ma tocca alle aziende
isogna pagare i proprietari di armi d’assalto per evitare che facciano nuove stragi? La proposta anima il Partito democratico americano, i candidati si preparano al dibattito tv di giovedì e avanzano le loro proposte. Visto che ormai hanno consenso soltanto nelle grandi città e considerano perse le aree rurali più armate, un po’ tutti spingono per maggiori controlli. Kamala Harris, Cory Booker e Beto O’Rourke, suggeriscono il “riacquisto obbligatorio”: chi ha armi d’assalto dovrebbe consegnarle alle autorità in cambio di denaro. É una pratica comune dopo le guerre, per stabilizzare il Paese e ridurre il rischio di violenza. C’era un progetto italiano simile (dai risultati scarsi) anche nella Libia post-Gheddafi. Ma è difficile immaginare che un ventenne abbastanza squilibrato da progettare un massacro si senta vincolato a riconsegnare il mitragliatore appena comprato sul web.
Idee alternative come la creazione d un registro nazionale dei possessori di armi, con autorizzazioni preventive, sembrano poco realistiche in un Paese federale e con una pubblica amministrazione frammentata come gli Stati Uniti.
QUESTA SETTIMANA il Congresso torna a discutere il piano appoggiato dal presidente Donald Trump, che i giornali chiamano “red flag”, bandiera rossa: sostegno finanziario agli Stati che applicano una misura preventiva anti-stragi che prevede il sequestro delle armi ai soggetti che manifestano segni di squilibrio che potrebbero spingerli a un uso poco responsabile di pistole e fucili (ammesso che ne esista uno responsabile). Alcuni Stati come il Connecticut o l’Indiana hanno già leggi simili da oltre un decennio. Ma sembra difficile che possano fermare le stragi: individuare i soggetti a rischio è arduo, soprattutto oggi che fucili e munizioni si possono comprare via web.
N e l l ’ a n n o elettorale Trump non vuole certo inimicarsi la potente lobby degli americani armati, la Nra. I controlli “bandiera rossa” sono il male minore per la lobby: le vendite continuerebbero senza limiti o quasi e verrebbe sancito per legge che il problema sono gli squilibrati, non la facilità di accesso a fucili e pistole semiautomatiche.
Il giornalista delNew York Times Andre Ross Sorkin, la firma più prestigiosa delle pagine finanziarie, si è convinto da tempo che la soluzione al dramma delle armi deve arrivare dalle imprese, non dalla politica. Anche perché non c’è confronto tra la forza della lobby delle armi e quella delle vittime: secondo i dati di OpenSecrets.org, tra 1998 e 2018 i sostenitori del diritto al possesso delle armi hanno speso 149 milioni di euro per fare lobbying a Washington, le associazioni che spingono per limiti e controlli soltanto 21 milioni.
Sorkin si appella allora agli amministratori delegati, che dopo ogni massacro scrivono tweet indignati ma fanno poco di concreto. Il mercato delle armi è integrato come tutti gli altri: coinvolge le società finanziarie che gestiscono le carte di credito dei futuri stragisti, le piattaforme on line che vendono le armi, intere o a pezzi, i produttori degli smartphone su cui avvengono le transazioni, i corrieri che consegnano il tutto a casa, i supermercati che espongono il prodotto sugli scaffali. Quando Ed Stack, amministratore delegato di Dick’s Sporting Goods, ha deciso di non vendere più armi nei suoi negozi è cambiato poco, è una catena troppo piccola per condizionare il resto del sistema. Ma Wal Mart è un gigante da 12.000 negozi e 2,2 milioni di dipendenti. E può fare la differenza.
Il 3 agosto il 21 enne Patrick Crusius ha ucciso 22 persone e ne ha ferite 24 a El Paso, proprio dentro un supermercato Wal Mart. Pochi giorni prima un’altra strage in un altro negozio, in Mississippi, con due dipendenti morti. L’amministratore delegato di Wal Mart, Doug McMillon, ha scritto allora una lettera aperta a dipendenti, azionisti e clienti per dire che “lo status quo è inaccettabile”. Già in passato Wal Mart aveva messo limiti alla vendita di armi più stringenti di quelli previsti dalla legge, come il divieto di acquisto per i minori di 21 anni e un minimo di controlli preventivi sull’acquir ente. Ora annuncia che la catena di supermercati più grande d’America smetterà di vendere alcuni fucili d’assalto e relative munizioni, il tipo di armi con è difficile andare a caccia nei boschi ma è facile fare una strage.
Prima di fare l’annuncio, McMillon ha informato Ross Sorkin del New York Times. Il prossimo passo, sostiene il giornalista, è che Wal Mart usi il proprio potere contrattuale con i fornitori per metter in difficoltà tutta la catena logistica che fa arrivare le armi agli stragisti. Per esempio potrebbe rivedere i suoi accordi con Wells Fargo, la banca della lobby Nra, o premiare i gruppi finanziari che impediscono di usare le proprie carte di credito per comprare munizioni on line.
ALTRI AMMINISTRATORIdelegati stanno facendo timidi passi nella stessa direzione, come Tim Cook che ha bloccato Apple Pay per l’acquisto di armi via web (ma non nei negozi). I top manager sembrano più efficaci del politici nel prevenire le stragi. Almeno finché i loro clienti e i loro azionisti li sosterranno.
Il progetto sostenuto da Trump prevede sequestri preventivi ai soggetti a rischio ma non limita gli acquisti