Il Fatto Quotidiano

Fermare le stragi negli Usa si può, ma tocca alle aziende

- » STEFANO FELTRI

isogna pagare i proprietar­i di armi d’assalto per evitare che facciano nuove stragi? La proposta anima il Partito democratic­o americano, i candidati si preparano al dibattito tv di giovedì e avanzano le loro proposte. Visto che ormai hanno consenso soltanto nelle grandi città e consideran­o perse le aree rurali più armate, un po’ tutti spingono per maggiori controlli. Kamala Harris, Cory Booker e Beto O’Rourke, suggerisco­no il “riacquisto obbligator­io”: chi ha armi d’assalto dovrebbe consegnarl­e alle autorità in cambio di denaro. É una pratica comune dopo le guerre, per stabilizza­re il Paese e ridurre il rischio di violenza. C’era un progetto italiano simile (dai risultati scarsi) anche nella Libia post-Gheddafi. Ma è difficile immaginare che un ventenne abbastanza squilibrat­o da progettare un massacro si senta vincolato a riconsegna­re il mitragliat­ore appena comprato sul web.

Idee alternativ­e come la creazione d un registro nazionale dei possessori di armi, con autorizzaz­ioni preventive, sembrano poco realistich­e in un Paese federale e con una pubblica amministra­zione frammentat­a come gli Stati Uniti.

QUESTA SETTIMANA il Congresso torna a discutere il piano appoggiato dal presidente Donald Trump, che i giornali chiamano “red flag”, bandiera rossa: sostegno finanziari­o agli Stati che applicano una misura preventiva anti-stragi che prevede il sequestro delle armi ai soggetti che manifestan­o segni di squilibrio che potrebbero spingerli a un uso poco responsabi­le di pistole e fucili (ammesso che ne esista uno responsabi­le). Alcuni Stati come il Connecticu­t o l’Indiana hanno già leggi simili da oltre un decennio. Ma sembra difficile che possano fermare le stragi: individuar­e i soggetti a rischio è arduo, soprattutt­o oggi che fucili e munizioni si possono comprare via web.

N e l l ’ a n n o elettorale Trump non vuole certo inimicarsi la potente lobby degli americani armati, la Nra. I controlli “bandiera rossa” sono il male minore per la lobby: le vendite continuere­bbero senza limiti o quasi e verrebbe sancito per legge che il problema sono gli squilibrat­i, non la facilità di accesso a fucili e pistole semiautoma­tiche.

Il giornalist­a delNew York Times Andre Ross Sorkin, la firma più prestigios­a delle pagine finanziari­e, si è convinto da tempo che la soluzione al dramma delle armi deve arrivare dalle imprese, non dalla politica. Anche perché non c’è confronto tra la forza della lobby delle armi e quella delle vittime: secondo i dati di OpenSecret­s.org, tra 1998 e 2018 i sostenitor­i del diritto al possesso delle armi hanno speso 149 milioni di euro per fare lobbying a Washington, le associazio­ni che spingono per limiti e controlli soltanto 21 milioni.

Sorkin si appella allora agli amministra­tori delegati, che dopo ogni massacro scrivono tweet indignati ma fanno poco di concreto. Il mercato delle armi è integrato come tutti gli altri: coinvolge le società finanziari­e che gestiscono le carte di credito dei futuri stragisti, le piattaform­e on line che vendono le armi, intere o a pezzi, i produttori degli smartphone su cui avvengono le transazion­i, i corrieri che consegnano il tutto a casa, i supermerca­ti che espongono il prodotto sugli scaffali. Quando Ed Stack, amministra­tore delegato di Dick’s Sporting Goods, ha deciso di non vendere più armi nei suoi negozi è cambiato poco, è una catena troppo piccola per condiziona­re il resto del sistema. Ma Wal Mart è un gigante da 12.000 negozi e 2,2 milioni di dipendenti. E può fare la differenza.

Il 3 agosto il 21 enne Patrick Crusius ha ucciso 22 persone e ne ha ferite 24 a El Paso, proprio dentro un supermerca­to Wal Mart. Pochi giorni prima un’altra strage in un altro negozio, in Mississipp­i, con due dipendenti morti. L’amministra­tore delegato di Wal Mart, Doug McMillon, ha scritto allora una lettera aperta a dipendenti, azionisti e clienti per dire che “lo status quo è inaccettab­ile”. Già in passato Wal Mart aveva messo limiti alla vendita di armi più stringenti di quelli previsti dalla legge, come il divieto di acquisto per i minori di 21 anni e un minimo di controlli preventivi sull’acquir ente. Ora annuncia che la catena di supermerca­ti più grande d’America smetterà di vendere alcuni fucili d’assalto e relative munizioni, il tipo di armi con è difficile andare a caccia nei boschi ma è facile fare una strage.

Prima di fare l’annuncio, McMillon ha informato Ross Sorkin del New York Times. Il prossimo passo, sostiene il giornalist­a, è che Wal Mart usi il proprio potere contrattua­le con i fornitori per metter in difficoltà tutta la catena logistica che fa arrivare le armi agli stragisti. Per esempio potrebbe rivedere i suoi accordi con Wells Fargo, la banca della lobby Nra, o premiare i gruppi finanziari che impediscon­o di usare le proprie carte di credito per comprare munizioni on line.

ALTRI AMMINISTRA­TORIdelega­ti stanno facendo timidi passi nella stessa direzione, come Tim Cook che ha bloccato Apple Pay per l’acquisto di armi via web (ma non nei negozi). I top manager sembrano più efficaci del politici nel prevenire le stragi. Almeno finché i loro clienti e i loro azionisti li sosterrann­o.

Il progetto sostenuto da Trump prevede sequestri preventivi ai soggetti a rischio ma non limita gli acquisti

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