Giulia, dalla Sicilia al Messico per lottare contro il femminicidio
La famiglia si trasferì a Milano per sfuggire “alle arpie” della mafia. Oggi la 27 enne combatte la violenza sulle donne
Coyoacan, il grande e bel quartiere, oltre mezzo milione di abitanti, di Città del Messico. All’Istituto italiano di cultura quaranta persone discutono di criminalità e violenza. Sono studiosi, ex funzionari di polizia, magistrati, scrittori e giornalisti. Li ha messi a convegno un docente di diritti umani dell’università di Sor Juana. Il dibattito ferve. I tragici numeri messicani, le cose da fare, i confronti con l’Italia, lo Stato e la fiducia nelle istituzioni. Finché la discussione cade, come è inevitabile, sulla violenza che colpisce le donne.
UN ESPERTOspiega con inflessibile neutralità che tecnicamente il femminicidio è un omicidio che colpisce una appartenente al genere femminile. Ma a quel punto due mani si levano in fondo alla sala, nell’angolo a destra dei relatori. Bisogna sporgersi per capire di chi siano, perché le titolari sono in seconda fila. “Non è una forma di omicidio, è un delitto particolare, è un crimine di genere. Il suo significato sta nel colpire le donne proprio in quanto donne”. E’ il cuore della questione, un principio fondamentale che il movimento di autodifesa femminile afferma con forza. Lo scrive anche sui muri della città infinita. Se si allunga un po’il collo si vede meglio. A parlare è una donna molto giovane, dai lunghi capelli bruni. È un’italiana, si chiama Giulia Marchese. Resto sempre affascinato da questo fenomeno dei giovani italiani che guidano la rivolta contro le mafie di ogni tipo in qualsiasi paese del mondo mi capiti di andare. La ragazza sembra fra l’altro solida di studi e di ricerche. Sostiene bene il confronto, spalleggiata da un’altra donna italiana che spiega di avere collaborato con una nostra deputata, Anna Serafini, al testo di una proposta di legge contro la violenza verso le donne.Quando tutto è finito, Giulia si racconta. Lavora con la Unam, la Universidad nacional autònoma de México, il più grande ateneo dell’America latina, circa 350mila studenti. E ha avuto di recente una consulenza dall’Unodc, l’agenzia delle Nazioni unite contro la droga e il crimine. E’venuta qua da Milano, ma è siciliana, come suggerisce lo speciale taglio degli occhi chiari. Una storia particolare. Nonni di origini modeste, uno contadino nel catanese l’altro bigliettaio sugli autobus a Palermo. “La mia è una famiglia povera in tutti e due i rami. Appena uno dei genitori ha avviato una attività soddisfacente sono arrivate addosso le arpie. Così ce ne siamo andati a Milano, a vivere liberamente”. A lei ragazza però non è bastata Milano. Dopo la libertà dai ricatti siciliani, ha cercato infatti la libertà anche dalla famiglia. Università via da casa, classicamente. Laurea in Sviluppo locale e globale a Bologna. Poi il dottorato di ricerca, in una rapidissima sequenza di successi accademici. Dalla Germania, università di Francoforte, fino a Città del Messico. Danno il capogiro questi movimenti da globalizzazione integrale, che peri giovani talenti non è affatto problema ma vento imperdibile. Oggi Giulia è impegnata in una ricerca in cui fonde le sue due grandi originarie passioni: la geografia umana e gli studi di genere. Cerca di costruire mappe rivelatrici; di geolocalizzare - come si dice - la violenza che si abbatte contro le donne in Messico. Ed è tornata dalle vacanze italiane apposta per tenere nella sua università un convegno sul femminicidio, il crimine che ci risospinge nei buchi neri dell’antropologia. Due giorni interi ,22 e 23 agosto. Lo ha promosso con Patricia Martha Castaneda Salgado e un’altra italiana, Emanuela Borzacchiello, dell’università Complutense di Madrid. Reflexiones actuales sobre feminicidio. Una mano aperta al centro nell’atto di fermare qualcosa, davanti al volto semicoperto di una donna. Sette sessioni, una delle quali intitolata “Nemmeno un passo indietro”. E una che spiega quell’intervento dal fondo della sala: “Come nominare la violenza? Proposta per un nuovo vocabolario”. La cultura, il linguaggio. Le donne messicane provano a cambiare il vocabolario perché il mondo capisca meglio il dramma che si è abbattuto su di loro nel già grande mattatoio nazionale. E che a combattere con loro ci sia questa italiana di 27 anni mi ispira un sottile sentimento di orgoglio. “Se qui in Messico mi sembra di essere un po’ in Sicilia? Certo. Anzi, a essere sincera, io sono venuta qui a cercare la Sicilia, a darmi un nuovo punto di vista sulla mia storia. A provare a capirla fino in fondo”. Così gli insondabili misteri della coscienza e dell’anima portano a ingaggiare le battaglie più ardue.
L’IMPEGNO Lavora con la più grande università dell’America latina e collabora con l’Unodc, l’Agenzia Onu contro droga e crimine