Il Fatto Quotidiano

L’asilo nido resta un’utopia: fuori 1 milione di bambini

Picchi di disparità tra Nord e Sud. Scarsa offerta statale ed esosa richiesta privata

- » PATRIZIA DE RUBERTIS

“Il posto non c’è, nemmeno quest’ anno ”. Sono migliaia i genitori che si sentono ripetere questa frase dopo aver scoperto di non essere nuovamente riusciti a conquistar­e l’agognato posto all’asilo nido per il figlio. Cosa significa concretame­nte per le famiglie? Anche quest’anno saranno costrette a sborsare minimo 400 euro al mese per pagare l’asilo privato. A meno che non si sia così fortunati da poter contare sul welfare familiare, come i nonni. Insomma, gli asili nido più che un servizio essenziale sono piuttosto un Superenalo­tto: per un bimbi tra 0 e 3 anni che vince, ce ne sono 8 che restano a casa. Le strutture sono poche e i posti disponibil­i soltanto il 22,8%. Ma è soprattutt­o nelle grandi città e al Sud che ci si accorge che l’Italia non è Paese per bimbi. A dare un po’ di numeri sul tema sono la Fp Cgil e Save the Children. Andiamo con ordine.

IN BASE a un’ela borazi one condotta dal sindacato sui dati Istat 2016 relativi all’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, sono rimasti fuori dal circuito dei nidi 479.611 bimbi tra zero e un anno, 500.649 tra uno e due anni e 511.760 tra due e tre anni. Essendo i posti disponibil­i tra nidi pubblici e privati 320.286, le bambine e i bambini senza un posto sono 1.171.724. La Fp Cgil riporta come l’Istat abbia censito in Italia, 13.147 servizi socio-educativi per l’infanzia, tra pubblici e privati, di cui 11.017 sono asili nido. Una mole tale da coprire nel complesso circa 354 mila bambine e bambini, in poco più della metà dei casi allocati in posti pubblici, e di cui 320 mila nei nidi. Numeri che corrispond­ono a 24 posti ogni 100 bambini che, anche se risulta un dato molto frastaglia­to tra Nord e Sud, è assai lontano dalla richiesta comunitari­a. Nel 2002 il Consiglio europeo di Barcellona ha, infatti, posto a tutti gli Stati membri l’obiettivo di “fornire, entro il 2010, un’assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bimbi di età compresa fra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico” e “almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai 3 a nn i”. L’Italia ha però raggiunto il primo obiettivo prima del 2010 – nel 2015 il 96% dei bambini di età 4/5 anni frequentav­a la scuola dell’infanzia – ma sul secondo è ancora in ritardo: meno di un quarto dei piccoli tra 0 e 2 anni trova posto nei servizi per la prima infanzia. E se in Valle d’Aosta vanno al nido 4 bimbi su 10, in Campania ce la fanno solo 6 su 100. Eppure, in questi 10 anni sono stati avviati diversi (e costosi) interventi per aumentare l’offerta zero/tre: a partire dal 2007 lo Stato ha speso circa 1,15 miliardi di euro (in media circa 100 milioni l’anno), a cui va aggiunta l’ultima tranche della riforma della Buona scuola. Senza contare che a questi fondi si sono aggiunte nel corso degli anni anche le risorse comunali: dal 2008 al 2014 i sindaci hanno speso per i servizi zero/tre quasi 8,4 miliardi di euro, mentre le famiglie hanno contribuit­o in misura crescente ai costi del servizio: la loro quota è passata dal 17,4 al 20,4% della spesa. Ma la distribuzi­one dei soldi è stata squilibrat­a: Campania, Calabria, Sicilia e Puglia hanno assorbito il 60% del totale con risultati decisament­e deludenti.

LA SPESA media dei Comuni a livello regionale varia drasticame­nte: per un bambino della Calabria i Comuni stanziano in media solo 88 euro per i servizi offerti, contro i 2.209 euro del Trentino. Diminuisco­no i nidi gestiti dai Comuni a favore di una crescente scelta delle amministra­zioni a forme di privatizza­zioni o servizi privati puri.

Numeri che non si discostano da quelli forniti dal rapporto “Il miglior inizio – Disuguagli­anze e opportunit­à nei primi anni di vita” diffuso da Save the Children, secondo cui in Italia solo 1 bambino su 4 (il 24%) ha accesso al nido o ai servizi integrativ­i per l’infanzia e, di questi, solo la metà (12,3%) frequenta un asilo pubblico. Copertura garantita dal servizio pubblico che è quasi assente in regioni come Calabria (2,6%) e Campania (3,6%), seguite da Puglia e Sicilia con il 5,9%, a fronte delle più virtuose Valle d’Aosta (28%), Provincia autonoma di Trento (26,7%), Emilia Romagna (26,6%) e Toscana (19,6%). Risultati decisament­e migliori riguardano, invece, l’accesso alla scuola dell’infanzia, che in Italia accoglie il 92,6% dei bambini dai 3 ai 6 anni, superando pertanto l’obiettivo europeo del 90% di copertura.

“È fondamenta­le che il neo governo assuma tra le proprie priorità quella dell’i nves timento nell’infanzia a partire dai primi anni di vita, promuovend­o in Italia un’agenda per la prima infanzia, che preveda un piano organico di interventi di sostegno alla genitorial­ità, servizi educativi di qualità e accessibil­i a tutti, misure di welfare familiare, lotta alla povertà economica ed educativa, sostegno all’occupazion­e femminile e conciliazi­one tra lavoro e famiglia”, commenta Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.

Sotto pressione

È passato dal 17,4 al 20,4 per cento il contributo che viene richiesto alle famiglie

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