E Salvini s’imbuca nella piazza di Meloni per le urne smarrite
La piazza che contesta Conte è soprattutto targata FdI. Con i saluti romani di FN
■ Fratelli d’Italia fa il pieno davanti a Montecitorio. Il leader leghista protesta con Forza Nuova e minaccia vendette: “Se toccano Quota 100 e i decreti Sicurezza, non escono più di lì”
Epoi c’è Matteo Salvini. “Il popolo sovrano, fuori”. “I poltronisti giallorossi o giallorosé, dentro”. Giorgia Meloni acclamata. Fabio Rampelli fuochista. Francesco Storace ultrà. Daniela Santanchè con cappello cowgirl. Fratelli d’Italia ovunque, chiazze leghiste, bandiere tricolori. Un sentimento nazionale che ricovera gli ultimi reduci di Alberto da Giussano. Un sole che appiccica. Un po’ di foga, a sprazzi. Saluti a braccia tese con corredo di tatuaggi su carni abbronzate, una spolverata di “du ce- duce” nel più scontato folclore fascista. Estrema destra agli estremi di una piazza popolare, a tratti ingrugnita, Forza Nuova, CasaPound, colleghi vari. E poi c’è Matteo Salvini. Li ha convocati, a sua insaputa, un mese fa con il ribaltone d’agosto e adesso, frastornato ospite di Meloni, circonda la Camera che officia la fiducia al governo di Giuseppe Conte con la maggioranza pentastellata e democratica, impastata con il lievito della sua insipienza politica.
MELONI VANTA il privilegio della coerenza, qui era con Salvini al Viminale, qui resta con Salvini spoglio e fiacco. All’opposizione. Il capo del Carroccio – attenzione forse Carroccio è abolito, va verificato – ha la grinta di chi si esibisce in un angusto teatro di provincia dopo una lunga stagione negli stadi. Pardon, in spiaggia, tipo Milano Marittima. Il repertorio di Salvini è un estratto drenante che prosciuga l’entusiasmo dei contestatori di Conte: i centri sociali, le zecche rosse, i porti chiusi, la legge Fornero, l’altrui sete di potere. Sbraita al microfono, non fa rumore: “Se per far dispetto a me si dovesse tornare indietro su quota 100 e tornare alla Fornero, o sul decreto Sicurezza, non li facciamo uscire da quel palazzo”. Il discorso è sgangherato, non dura neanche dieci minuti. Ai migliaia di militanti di Fratelli d’Italia – 30.000 per Meloni – propina la melassa del papà che, anziché accompagnare la figlia per il primo giorno di scuola, sceglie la protesta per garantire un futuro ai giovani. Spalle a Montecitorio, stremato, alza il pugno per un dieci, venti, trenta secondi, pare ipnotizzato, finché Meloni lo strattona. Salvini rinsavisce e, su indicazione della nuova-vecchia amica Giorgia, ricorda che il 19 ottobre ci si ritrova a manifestare a Roma, nella simbolica spianata di San Giovanni in Laterano. Il deputato Andrea Crippa, vicesegretario del Carroccio, cioè vice di Salvini, sancisce la confusione che alligna nel partito e accusa le forze dell’ ordine :“Siamo all’ assurdo! Oltre a negare il diritto di voto agli italiani oggi davanti a Montecitorio hanno negato l’accesso dei manifestanti! Vergogna ministro Lamorgese, vergogna Questore di Roma. Altro che governo per i cittadini, il Conte 2 nato con una manovra di palazzo si sta dimostrando autoritario e antidemocratico. Ma la maggioranza dei cittadini è al fianco della Lega e di Matteo. Cacceremo i mercanti dal tempio”.
A proposito di mercanti e di tempio. Nel coacervo di pensierini che pronuncia dal palco, Salvini espone un unico concetto politico: bisogna allargare il fronte di chi non si riconosce nel governo giallorosé. Più che un auspicio, è una paura. L’ex ministro del l’Interno, ripudiato dai
IL LEADER DEL CARROCCIO Se per far dispetto a me si dovesse tornare indietro su quota 100 o decreto Sicurezza, non li facciamo uscire da quel palazzo
“moderati” di Forza Italia, ha paura di finire inghiottito dalla destra di Rampelli e Meloni, di incarnare un’ideologia pericolosa, minoritaria, non più un blocco sociale con radici al Nord e avamposti al Sud. E soprattutto Salvini, con la timbratura indelebile del Capo improvvido e sconfitto, ha paura di perdere il controllo del Carroccio e di subire l’avanzata di Luca Zaia. Al secondo mandato che scade l’an no prossimo, il governatore veneto è il candidato ideale – di quel pezzo di delusi che arruola l’ex sottosegretario Giancarlo Giorgetti – per guidare la Lega. Per dare corpo al volto di Matteo.
I LEGHISTI TEMONO l’involuzione a destra, tant’è che il grigio Toti fa tendenza e in piazza sono aboliti i simboli di partito. C’è solo il tricolore. È insensato constatare il repentino declino del leader che ha portato la Lega dal 3 al 34 per cento (tre mesi fa!), eppure Salvini ha rovinato se stesso. Al momento, è smarrito. Anch’egli patisce la sindrome del pinguino: ha le caratteristiche di un uccello, ma non riesce a volare. Non più.
Il massimo obiettivo del teatrino al governo: il futuro inquilino del Colle Vogliono mettere un campione di svendita dell’Italia, Prodi GIORGIA MELONI