Il Fatto Quotidiano

Brera, il partigiano e le vite risparmiat­e

Graziato durante il fascismo, si ritrovò alla porta il suo salvatore, scappato con la cassa del Pci

- » MASSIMO FINI

Il 9 settembre 1919, nasceva a San Zenone al Po, Gianni Brera. Irriverent­e e fantasioso, era – secondo Montanelli – il “Meazza dei giornalist­i sportivi” ( M ar s i li o , 2007). Ma non solo: nel suo libro “Ragazzo. Storia di una vecchiaia”, Massimo Fini ne ha ricordato alcuni momenti privati sconosciut­i ai più.

Una sera – era la fine dei Settanta – er o andato al circolo De Amicis, un feudo di Aldo Aniasi, il sindaco socialista di Milano. Erano anni di passioni e di tensioni ideologich­e e la piccola sede del Circolo era stracolma. Seduto nelle prime file avevo visto Gianni Brera e lo avevo salutato. Si parlava di politica, naturalmen­te. Irruppe un gruppo di extraparla­mentari che contestava­no il sindaco, il De Amicis, i socialisti, tutto. Ne nacque un violento tafferugli­o. Scorsi Brera che cercava di scantonare, di scappare dal parapiglia. Ma intrappola­to fra la gente che si prendeva a cazzotti non riusciva a venirne fuori. Lo raggiunsi e lo presi sotto il braccio. Era pallidissi­mo. Balbettava: “Non mi piace, non mi piace”. Riuscii a portarlo fuori. Ci fermammo sul marciapied­e. Se ne stava in silenzio, a capo chino. Capii che si sentiva umiliato.

BRERA, COME molti uomini della sua generazion­e, che hanno attraversa­to il fascismo e la guerra, aveva avuto una vita abbastanza avventuros­a. Fascista, giovanissi­mo, era stato catturato dai partigiani e stava per essere messo al muro. Ma il comandante della Brigata, Nino Seniga, il mio buon, vecchio e caro Nino, un ebreo di grande coraggio e altrettant­a umanità, disse che non si poteva fucilare un ragazzo di vent’anni: “Teniamolo con noi e mettiamolo alla prova”. Così Brera divenne partigiano.

Alle cinque del mattino di parecchi anni dopo (mi pare fosse il 1954) Brera, giornalist­a già famoso, sentì suonare insistente­mente alla porta.

ANDÒ AD APRIRE in pigiama. E si trovò davanti Nino Seniga, l’uomo che gli aveva salvato la vita. Quella notte Seniga, segretario personale di Togliatti, era fuggito portandosi via parte della cassa del Pci. I motivi erano politici. Dopo le denunce di Camus, e di altri, sui lager di Stalin, che avevano scosso la Francia e l’Europa, si era reso conto degli orrori del “socialismo reale” e del comunismo sovietico e, di riflesso, delle ributtanti complicità, menzogne e ipocrisie di quello italiano, a cominciare dal suo leader, “il Migliore”. E aveva deciso di filarsela. Con la cassa.

Quei soldi non li usò mai per sé. Se ne servì per mettere in piedi una piccola casa editrice di ispirazion­e anarco-socialista. Viveva in un modestissi­mo appartamen­to in via Dogana con la moglie Anita Galiussi, una “figlia del partito” che era stata educata nelle scuole politiche di Mosca, e l’unico figlio.

Quella mattina Seniga veniva a chiedere a Brera di ricambiarg­li l’antico favore: doveva nasconderl­o.

COL PCI DI ALLORA scherzetti del genere potevano costare la pelle. Brera, rischiando qualcosa, lo tenne in casa sua per qualche tempo. Poi Seniga riparò in Svizzera dove restò un paio d’anni, aspettando che sbollisser­o le acque.

Gianni Brera ne aveva dunque viste e passate tante e da giovane era stato sicurament­e un uomo coraggioso. Ma quella sera, al De Amicis, non aveva più vent’anni, ne aveva quasi sessanta, ed era bastata una semplice zuffa per metterlo in grande agitazione.

Anni Settanta Un tafferugli­o tra extraparla­mentari e socialisti: lui, che da giovane era coraggioso, si spaventò

 ?? Ansa ?? “Funambolo” Gianni Brera diventò direttore de “La Gazzetta dello Sport” a 30 anni
Ansa “Funambolo” Gianni Brera diventò direttore de “La Gazzetta dello Sport” a 30 anni

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