Il Green New Deal in salsa Ue Verde sì, ma a basso impatto
IMiliardi di euro di investimenti sulle rinnovabili: è la proposta di Ursula von der Leyen per il Green New Deal europeo. Saranno finanziati principalmente dalla Banca europea per gli investimenti
L’anno entro cui, secondo la Commissione europea, l’Ue dovrà raggiungere la completa decarbonizzazione. Sono previsti anche incentivi e carbon tax lGreen New Dealè stato esplicitamente citato nel discorso programmatico per il Conte 2, che ha tra l’altro promesso “blocco delle concessioni per gli idrocarburi” e“protezione dell’ambiente e delle biodiv e rs i t à” in Costituzione. Queste misure, sebbene siano un’inversione di tendenza rispetto allo Sblocca-trivelle ideato da Renzi, hanno con il Green New Deal la stessa relazione che il rattoppo di un paio di buche ha con la soluzione del problema delle strade di Roma. Di Green New Deal si parla dalla fine degli anni 2000. L’idea, condivisa allora dai Verdi europei e dall’Amministrazione Obama, era di reagire alla crisi finanziaria del 2007, con investimenti green che potessero allo stesso tempo creare lavoro e affrontare la questione climatica. Un’e l a bo r a z io n e poco profonda che non ha prodotto grandi risultati: le banche sono state salvate a suon di miliardi di dollari, l’ambiente no (durante l’Amministrazione Obama gli Stati Uniti hanno aumentato la produzione di petrolio da 5 a più di 9 milioni di barili al giorno grazie al fracking).
I PRECEDENTIpiù interessanti del Green New Deal affondano le radici negli anni Settanta, quando gli choc petroliferi del 1973 e del 1979/80 avevano fatto impennare i prezzi del petrolio e tutti credevano nel prossimo esaurimento dei giacimenti. Negli Stati Uniti, il presidente democratico Jimmy Carter pronunciò davanti alla nazione il famoso discorso sulla crisi energetica come “equivalente morale della guerra” in cui parlava della necessità di frenare il consumismo, aumentare il prezzo della benzina, investire nelle alternative per restituire al popolo americano quella fiducia che era stata spezzata dal Watergate e dalla crisi petrolifera. La proposta fu poi spazzata dalla vittoria di Ronald Reagan nel 1980.
I piani per il Green New Deal dei candidati democratici americani quest’anno differiscono da quelli del passato per il carattere di urgenza riversato sulla questione ambientale, particolarmente (ma non solo) per la necessità di limitare le emissioni di CO² da fonte fossile, azzerandole nel 2050 per bloccare l’aumento della temperatura media del pianeta e danni climatici irreversibili. Questa urgenza, incarnata nella retorica netta e senza fronzoli di Alexandria Ocasio-Cortez fa assumere alle proposte di Green New Deal un carattere del tutto nuovo.
I diversi “piani verdi” proposti dai democratici hanno alcuni punti in comune, almeno sulle questioni energetiche. Il primo è che la decarbonizzazione del settore della produzione di energia e dei trasporti dovrebbe avvenire in sostanza entro il 2030. Tale obiettivo intermedio sarebbe un passo verso la totale decarbonizzazione dell’intera economia entro il 2050. Da questo discende la seconda caratteristica del Green New Deal, e cioè considerare utili ma insufficienti per l’assalto contro le fonti fossili le misure di mercato (ecotasse, incentivi per l’acquisto di macchine elettriche o l’isolamento delle abitazioni) e rendere necessario un piano di investimenti pubblici di dimensioni epocali nel settore della produzione e distribuzione dell’energia e nelle tecnologie rinnovabili. Il candidati dem alla Casa Bianca Bernie Sanders parla di 16 mila miliardi di dollari in 15 anni, circa 20 volte l’intera spesa pubblica annuale italiana.
Il terzo punto in comune è l’accento posto sulla questione della giustizia energetica: l’idea cioè che il mondo dopo le energie fossili dovrà essere più giusto di quello trainato dalle fonti fossili. Sarebbe dunque necessaria una battaglia legale e morale contro il capitalismo petrolifero, garanzie per i lavoratori impiegati nel settore delle fossili, sistemi cooperativi e decentralizzati per la distribuzione di energia, nuovi lavori stabili e ben retribuiti.
Nel Green New Deal della maggior parte dei candidati democratici, la componente New Deal è altrettanto ( se non più) importante della componente Green . Come il New Deal rooseveltiano degli anni Trenta è stato un programma per risollevare le masse americane dalla Grande Depressione, esplicitamente indirizzato contro Wall Street e i grandi gruppi industriali, il Green New Deal, indirizzato contro Big Oil e i profitti di Wall Street, dovrebbe prendere a modello esperienze come l’agenzia statale Tennessee Valley Authority delle origini che ha garantito elettricità a basso costo e occupazione.
Questa visione del Green New deal non coincide con il programma delineato dalla neo presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per un’Europa verde: decarbonizzazione entro il 2050 con investimenti di 1.000 miliardi di euro nelle rinnovabili finanziati principalmente dalla Banca europea per gli investimenti (dunque legati a bond sottoscritti da privati), con l’aggiunta di incentivi vari e carbon tax. Per esempio, i bond Bei dovrebbero finanziare società private che dovrebbero operare secondo una mera logica di profitto.
Il Green New Dealdi Ursula e, si parva licet, quello di Conte, sembrano privilegiare l’aspetto Green (economia verde) rispetto a quello New Deal (investimenti pubblici e giustizia sociale). Basteranno pochi mesi o pochi anni per capire se questa strategia green moderata sia in grado di evitare la crescita della diseguaglianza energetica e di garantire significativi miglioramenti nella riduzione delle emissioni di CO² per rispettare i target di Parigi; o se, invece, servirà il genere di interventismo statale ipotizzato dai democratici progressisti americani.
Scuola democratica e progressista Economia pulita contro fondi pubblici: si vedrà se la strategia moderata ridurrà le emissioni o se servirà il forte intervento statale