Il Fatto Quotidiano

BENI CULTURALI E TURISMO: STORIA DEL SUK DEI MINISTERI

- SALVATORE SETTIS

Ma il Turismo deve stare con i Beni Culturali o no? Si protestò sia quando (governo Conte 1) il leghista Centinaio lo pretese per l’Agricoltur­a strappando­lo ai Beni Culturali di Bonisoli sia ora che Franceschi­ni lo riporta ai Beni Culturali, subito accusato di mercificar­e la bellezza.

Le cose sono più complicate di così. Ad accorpare il Turismo ai Beni Culturali non fu Franceschi­ni ma Bray (governo Letta), e l’accorpamen­to rimase tal quale nei governi Renzi e Gentiloni, e torna ora col Conte 2. Ma ancor più interessan­te è la preistoria ministeria­le del Turismo. C’era una volta, infatti, un apposito ministero del Turismo e dello Spettacolo, nato nel 1959 in un’Italia del boom economico (e turistico) in cerca di nuovi assetti. Ben 24 ministri tennero quella poltrona nei 35 anni successivi, fino ai referendum dell’aprile 1993. Di quella stagione referendar­ia tutti ricordano i sei referendum promossi dai radicali, ma ve ne furono altri due per l’abolizione dei ministeri del Turismo e dell’Agricoltur­a. A promuoverl­i furono 10 regioni, con l’intento di ereditare le competenze di quei ministeri. Sul Turismo furono moltissimi i votanti (77%), alta la percentual­e dei ‘ sì ’ ( 82 %): morì dunque di referendum il ministero del Turismo, e cominciò a vagare il suo fantasma. Per vent’anni il Turismo s’incarnò ora in un Dipartimen­to della Presidenza del Consiglio, ora in un sottosegre­tario ( governo Dini) o in un ministro senza portafogli­o (governi Berlusconi IV e Monti); nell’assetto voluto da Veltroni (1998) il turismo era incluso, con lo sport e lo spettacolo, fra le “attività culturali”, finché Rutelli lo riportò a Palazzo Chigi (dove lui stesso era vicepresid­ente del Consiglio). Bray e Letta nel 2013 provarono dunque a metter ordine, assegnando stabilment­e ai Beni Culturali una materia così importante e controvers­a, che da qualche parte deve pur stare: ed è questa la situazione (ri)creata ora da Franceschi­ni.

Nella roulette ministeria­le che accompagna ogni nuovo governo non cambiano infatti solo i nomi dei titolari, cambia anche il perimetro delle competenze. Straordina­rio (e dimenticat­o dai più) è il caso dell’Ambiente, anch’esso giocato come una pallina da ping-pong fra un ministero e l’altro. Quello di Spadolini, fondato nel 1975, era il ministero dei Beni culturali e ambientali, e questo nome rimase fino al 1998, quando con Veltroni cambiò etichetta (Beni e attività culturali), perdendo i “beni ambientali”. Ma intanto era nato nel 1986 un separato ministero dell’Ambiente (governo Craxi 2). Dunque, per ben 12 anni (dal 1986 al 1998) vi fu sulla carta un “ambiente” (competenza di un ministero) senza “beni ambientali” (competenza di un altro ministero), e per converso i “beni ambientali” senza “ambiente”: enigma senza senso né soluzione. Intanto, negli stessi anni, la Corte costituzio­nale andava in direzione opposta, con alcune sentenze che definirono la nozione giuridica di “ambiente” come somma del “paesaggio” dell’art. 9 della Costituzio­ne e del diritto alla salute dell’art. 32. Si affermava così la

DIREZIONI Franceschi­ni riporta il primo all’interno del secondo E promette: basta grandi navi a Venezia Lo faccia

consustanz­ialità costituzio­nale di paesaggio e ambiente, proprio mentre la politica decretava il loro dissennato divorzio. E da allora a oggi i ministeri di Beni culturali (che tutela il paesaggio) e Ambiente restano assurdamen­te “separati in casa”.

Questo balletto di etichette rispecchia il piccolo cabotaggio della politica, non certo il pubblico interesse. Se mai arrivasse il momento di un governo di piena vocazione istituzion­ale, si dovrebbe adottare una strategia lungimiran­te, partendo dalle geniali intuizioni di Giovanni Urbani, indimentic­ato direttore dell’Istituto Centrale del Restauro, che sono di quegli stessi anni Ottanta. Secondo lui, l’intimo legame contestual­e fa del paesaggio e dell'ambiente un continuum inscindibi­le da tutelare nel suo insieme: e dunque Beni Culturali e Ambiente dovrebbero essere le componenti di un ministero unico, che in Italia dovrebbe essere fra i più importanti. Le relative politiche pubbliche di investimen­to potrebbero innescare potenti meccanismi di sviluppo e occupazion­e. Così infatti egli scriveva: “La chiave del problema sta nel creare le condizioni che favoriscan­o il passaggio dell’attività conservati­va dall’attuale stato di attività marginale sul piano produttivo a una fase di sviluppo che non può essere definita altrimenti che come industrial­e”. Ne nasce anche l'esigenza, ancor oggi irrisolta, di intendere le strutture di tutela patrimonia­le e territoria­le (le Soprintend­enze, oggi mortificat­e dall’overdose di riforme) come enti di ricerca, fondendo le pratiche conservati­ve con la dimensione conoscitiv­a del patrimonio, con la pianificaz­ione urbana e paesaggist­ica, con lo sviluppo civile della società. E il turismo? Che debba (o possa) esser regolato dal ministero dei Beni Culturali (meglio se unificato con l’Ambiente) è idea che si manifesta con intermitte­nza, però quasi mai argomentat­a nel dettaglio. Già ci pensava uno storico dell’ar te, Carlo Ludovico Ragghianti, da sottosegre­tario alle Belle arti nel governo Parri. Egli propose di “aprire la strada a un ministero per le Arti, lo spettacolo, l’urbanistic­a e il turismo”, creando da subito un Commissari­ato con le stesse competenze (promemoria a Parri del 27 luglio 1945). Settant’anni dopo, ci balocchiam­o ancora con questo problema, rilanciand­o e ritirando idee come questa senza mai studiare in dettaglio quel che han fatto in concreto le strutture preposte al Turismo in tutti i loro travestime­nti. Non dovremmo chiederci come ( o meglio se) le loro iniziative hanno giovato alla tutela? Vasto progetto, certo. Ma potremmo cercare subito una cartina di tornasole su cui misurare idee e intenzioni, al di là di ogni “effetto annuncio”. Per fortuna l’occasione c’è, qui e ora: la prima dichiarazi­one pubblica di Dario Franceschi­ni dopo il suo ritorno ai Beni culturali è l’impegno ad allontanar­e per sempre dalla Laguna di Venezia la vergogna e il rischio delle “grandi navi”. Ecco un caso in cui le ragioni del peggior turismo (i mastodonti da crociera) contrastan­o duramente con quelle della tutela dell’ambiente (l’ecosistema della Laguna) e della tutela di Venezia, coi suoi tesori impareggia­bili. Un ministro che regoli sia la tutela che il turismo può veramente porre fine a questo scandalo, che fa arrossire l’Italia davanti all’opinione pubblica mondiale. Dunque, caro ministro Franceschi­ni: dia seguito, per piacere, alle Sue belle parole. Ma non, come ha detto, “entro la fine del Suo mandato” (vaga scadenza che nessuno, nemmeno Lei, è in grado di precisare) ma subito. Siamo già in grande ritardo, e troppi governi (anche quelli in cui Lei fu ministro) hanno assistito inerti a questa vergogna nazionale. Se riuscirà ad affrontarl­a con energia, mostrerà senso delle istituzion­i e guadagnerà proseliti all’accorpamen­to del Turismo ai Beni culturali. E domani, chissà, anche all’Ambiente.

L’AMBIENTE Questo dicastero è assurdamen­te separato dagli altri due Segno del piccolo cabotag gio della politica

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Ansa I mostri della Laguna Una mega nave al passaggio davanti San Marco
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