Sparisce la Toscana Vendetta anti-Renzi e le mire di Bonafè
La patria del Giglio Magico non prende posti. Boschi e Nardella inferociti, nel mirino finisce la deputata Ue
C’è una scena della celebre serie tv Borisin cui il protagonista, un attore di successo, si rivolge così a una giornalista: “Il vero grande merito di questa fiction è che non ci sono i toscani – spiega infervorato – nessuno che dice la mi’mamma, il mi’babbo, la ‘harne, la ‘harta… perché con quella ‘c’ aspirata e quel senso dell’umorismo da quattro soldi, i toscani hanno devastato questo Paese”. Che quella di Stanis, al secolo Pietro Sermonti, volesse essere anche un’analisi politica ex-post sull’era renziana, non è dato saperlo. Ma una cosa è certa: Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti devono essersi ispirati alla serie tv durante le trattative per la formazione del governo. Sì, perché, dopo l’indigestione degli ultimi anni, di toscani nel nuovo governo giallorosé non ce n’è neanche uno. Nessuna poltrona, nessuno strapuntino: zero “tituli”, come direbbe Mourinho.
L’AMARO RECORD delle Regioni non rappresentate nel governo Conte 2, in realtà, sarebbe condiviso con la Calabria ma, dopo gli anni del Giglio magico e dell’asse Firenze- Rignano- Arezzo, l’a ssenza di toscani fa molto più notizia e provoca uno psicodramma nel Pd. Durante le trattative sui posti di sottogoverno, infatti, il ragionamento dei dirigenti dem era: “ogni corrente e ogni regione devono essere rappresentate”. E invece non è andata così.
Innanzitutto, i renziani si contano alla spicciolata: i fedelissimi dell’ex premier sono due su 42, Anna Ascani (viceministra all’Istruzione) e Ivan Scalfarotto (sottosegretario agli Esteri). Poi ci sarebbero anche i sottosegretari Simona Malpezzi (Rapporti con il Parlamento), Salvatore Margiotta (Infrastrutture) e Alessia Morani (Sviluppo Economico) ma sono più vicini a Lotti e a Guerini che a Renzi stesso. Questi cinque, però una cosa in comune ce l’hanno: sono i leader del #senzadime, l’ala del Pd che un anno e mezzo fa twìttava ossessivamente contro il possibile accordo tra Pd e M5S. A fine luglio, per dire, dopo la fiducia sul decreto Sicurezza bis, la pasionaria Morani cinguettava: “Il M5S ormai è al servizio di Salvini”. Qualche giorno dopo le faceva eco il neo vice di Luigi Di Maio ala Farnesina, Ivan Scalfarotto: “Questa è destra, e della peggior specie. Nulla a cui ci si possa avvicinare senza compromettere i nostri valori di base”.
MA NON È SOLO una questione di numeri. Al basso numero di renziani (il 10%), si incrocia la scelta di non nominare toscani nella compagine di governo: un mix letale che ha fatto esplodere la rivolta interna ai dem. A dar fuoco alle polveri ci pensa all’ora di pranzo il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che si dice “deluso e costernato”: “Se questa esautorazione è una vendetta contro la vecchia maggioranza del partito o contro Renzi lo si dica con chiarezza o si dia una spiegazione seria e politica di questa decisione”. Seguono a ruota i fedelissimi del capo: Andrea Romano (“Ottima squadra ma pessima assenza dei toscani”), Francesco Bonifazi (“vendetta contro Renzi, il Pd cancella la Toscana”) e si rivede addirittura Maria Elena Boschi (“i cittadini toscani non se lo meritano, spero non sia una scelta per colpire Renzi”). Ma il vero scontro fratricida si concretizza nelle chat dei dirigenti dem, che dopo pranzo diventano roventi: “Così ci isolano ma non è un male – dice al Fatto un renziano – potrebbe essere la prima giustificazione per andarcene”.
Dall’altra parte della barricata, gli zingarettiani mettono nel mirino Simona Bonafè, segretaria regionale del partito. L’accusa è quella di essersi comportata in maniera “scorretta” con Zingaretti che, in cambio del posto da capolista alle elezioni europee, avrebbe preteso una segreteria più unitaria nella (ex) regione più rossa d’Italia. “Bonafè si è solo occupata di trattare il proprio posto da vicepresidente dei Socialisti al Parlamento Europeo e non ha fatto pressione per avere uomini nostri al governo”, è l’accusa. “Adesso deve spiegare” dice il sottosegretario mancato, Valerio Fabiani. Lei, nel frattempo risponde attaccando il segretario nazionale e parlando di “purga” nei confronti di Renzi. In serata, Zingaretti prova a ricucire: “Non c’è nessuna discriminazione della Toscana al governo ma una serie di coincidenze di tanti criteri”. Ma ormai lo strappo (definitivo?) si è consumato.