Fine vita Il principio di autodeterminazione esiste: per la legge dello Stato, non di Dio
RIGUARDO ALL’APPELLO dei vescovi aConte in tema di suicidio assistito, ritengo poco rituale – essendo un intervento gratuito su questioni inerenti un Paese straniero – la richiesta di modificare la legge sul testamento biologico. Sono un avvocato che da anni lavora su questo: ho visto cosa abbia voluto dire per le persone avere una legge che disciplinasse le Dat-Disposizioni anticipate di trattamento, cosa significhi il desiderio di autodeterminazione, e ho visto il dolore e la sofferenza dei familiari. Avere questa norma è stato un sollievo. Se si depotenziasse o cancellasse, sarebbe una scelta drammatica, specie se operata dalle stesse forze che hanno tanto lottato per veder approvata la legge 219/17. In quella legge c'era, in nuce, la prova di una nuova possibile alleanza di governo, oggi realizzata. GENTILE CHIARA, il cardinal Bassetti, al convegno “Eutanasia e suicidio assistito”, ha detto: “Va negato che esista un diritto a darsi la morte; vivere è un dovere, anche per chi è malato e sofferente”. Esiste – non per legge di Dio ma per legge dello Stato – “l’autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli articoli 2, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione italiana”. Lo hanno scritto nero su bianco i giudici della Consulta, un anno fa. Quegli stessi giudici che, il 24 settembre, dovranno rispondere sulla legittima costituzionalità dell’art. 580 del Codice penale, nella parte che vieta l’aiuto al suicidio (il quesito fu sollevato nell’ambito del processo Marco Cappato/Dj Fabo). Inevitabilmente, sarà un verdetto sull’attuale assetto normativo sulla fine vita, un sistema che – si legge nelle motivazioni della Consulta – “lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti”. Questo, se vogliamo parlare di diritti. Valeria Imbrogno, la compagna di Dj Fabo, proprio sul nostro giornale scrisse: “Non è nemmeno questione di eutanasia. Per noi è la vittoria del concetto di libertà. Quello stesso principio che ha lasciato Fabo libero di scegliere cosa fare della sua vita fino alla fine, e della sua sofferenza, e io libera di rispettarne con amore l’autodeterminazione”. Grazie alle tante Valeria, a Fabo, a Marco. E a lei, Chiara. A quanti quotidianamente lavorano per dare dignità e diritto a sofferenze e desideri un tempo indicibili. Se da sei anni in Parlamento giace una legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia con in calce le firme di oltre 130 mila italiani, vorrà pur dire qualcosa. Sembriamo pochi, non lo siamo affatto.