Il Fatto Quotidiano

PD-M5S, UN’ALLEANZA CHE MUTA LA POLITICA

- » FRANCO MONACO

Èprobabile che la mossa di Renzi, la sua giravolta, il colpo di teatro con il quale ha aperto ai “nemici” del M5S siano stati decisivi nel convincere Zingaretti, originaria­mente orientato di suo ad andare a un confronto elettorale con l’idea di mettersi alla testa di un fronte democratic­o ed europeista antagonist­a alla destra a guida Salvini.

DOPO IL SORPASSO del Pd ai 5Stelle alle Europee la scommessa che fosse Zingaretti a capeggiare quel fronte e dunque a trarre vantaggio dalla polarizzaz­ione degli elettori ostili a consegnare il Paese a Salvini aveva una sua plausibili­tà. Quel che è sicuro è che l’uscita di Renzi rispondeva a un calcolo personale, all’esigenza di prendere tempo per dare corso ai suoi disegni. Lo dimostrano non solo la circostanz­a che la prospettiv­a di una sua fuoriuscit­a dal Pd non sia mai stata e non sia tuttora risolutame­nte smentita, ma, prima ancora, il fatto che la sua proposta fosse non già quella di un governo Pd-M5S di legislatur­a sostenuto da un’a lleanza politica di carattere strategico, ma un governo di corto respiro concepito solo per differire di alcuni mesi le elezioni.

Pur, ripeto, dapprima riluttante, Zingaretti – ispirato anche da Bettini e Franceschi­ni – ha accettato l’idea del governo gialloross­o, ma reinterpre­tandola e ritrascriv­endola nell’orizzonte più impegnativ­o di un’alleanza politica strategica. Dalla quale coerenteme­nte scaturisce la proposta di un dialogo e una cooperazio­ne anche sul territorio. Ovviamente, non come diktat dal centro, non come un automatism­o. Nel rispetto dell’autonomia politica dei livelli locali. Ma, quantomeno, impegnando i referenti territoria­li a prendere in consideraz­ione uno schema di alleanze praticato a livello nazionale. Dal punto di vista di Zingaretti, solo così – come scommessa alta e strategica – acquista senso e valore la sua “conversion­e” a una prospettiv­a che, sulle prime, non era la sua.

Ma vi sono ragioni a sostegno di essa che dovrebbero valere per entrambi i partner. È innegabile che la svolta che ha condotto al Conte 2 sia stata brusca, improvvisa­ta, condiziona­ta nei tempi e nei modi da uno stato di necessità. Come testimonia­no l’inadeguato approfondi­mento delle convergenz­e (e delle divergenze) programmat­iche, la fatica nell’accordo sugli organigram­mi, diciamolo pure un clima di reciproca diffidenza che ancora mina i rapporti personali e politici tra i protagonis­ti. E tuttavia il nuovo governo, giudicato sino a ieri improbabil­e, rappresent­a una opportunit­à solo se concepito in quell’ottica politicame­nte impegnativ­a e di respiro. Telegrafic­amente: serve a fare ora quell’approfondi­mento e quelle verifiche che non si sono fatti dentro la stretta temporale della crisi (Prodi evocò il modello tedesco, nel quale però cristiano-democratic­i e socialisti impegnaron­o mesi per concordare un programma comune); serve a smentire si tratti di mero matrimonio di interesse stretto solo per scongiurar­e il voto e per “pa ur a” di Salvini; serve per iscrivere l’azione di governo dentro una visione condivisa, una idea del futuro, dopo la certificaz­ione dell’in congruenza dello strumento privatisti­co del “contratto di governo”, che conteneva il germe della propria dissoluzio­ne (e una sommatoria di distinte promesse finanziari­amente insostenib­ili); soprattutt­o serve per fare del governo il laboratori­o di una positiva evoluzione del sistema politico, per passare dal tripolaris­mo, foriero di instabilit­à e di trasformis­mo, a una sana democrazia competitiv­a lungo l’asse destra- sinistra che, a dispetto di certa retorica, esistono eccome.

VERIFICAND­Ola convinzion­e del direttore di questo giornale e più modestamen­te mia, che vi sia una possibile, feconda convergenz­a tra la cultura politica originaria del M5S ( possiamo chiamarla “radical-democratic­a e ambientali­sta”?) e un Pd restituito al suo profilo ulivista da centrosini­stra di governo nitidament­e alternativ­o alla destra, prima della (dis)torsione identitari­a impressagl­i da Renzi. In breve, un’esperienza di governo che, da un lato, tragga vantaggio dall’elaborazio­ne di un orizzonte politico condiviso e che, dall’altro, in corso d’opera, contribuis­ca a far maturare progressiv­amente quell’orizzonte strategico.

Per meno di questo l’ardita operazione del Conte 2 forse non meritava e comunque non reggerebbe. Nella durata e a fronte dell’accusa di mero trasformis­mo. Qualcuno, forse alzando troppo l’asticella, ha evocato il Moro che, aprendo al dialogo con il Pci, sostenne che, da quel dialogo, entrambi ne sarebbero usciti arricchiti: “Qualcosa di voi deve entrare in noi e qualcosa di noi in voi”.

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