Il Fatto Quotidiano

Il Parlamento lascerà mai il posto alla Rete?

- » GIOVANNI VALENTINI

“Le tecnologie, impegnate in una incessante trasformaz­ione della realtà, creano un terreno propizio alle utopie positive e negative. È forse a portata di mano l’ideale della democrazia diretta?”

(da “Tecnopolit­ica” di Stefano Rodotà – Laterza, 2004)

Che cosa sarebbe accaduto se il responso della piattaform­a Rousseau fosse stato contrario al nuovo governo giallo-rosso? Il Movimento 5 Stelle avrebbe dovuto ritirarsi dalla trattativa aperta con il Pd. Le indicazion­i che aveva già sottoposto al capo dello Stato, tra cui quella sul nome del candidato presidente, sarebbero cadute nel vuoto. E il Quirinale si sarebbe trovato in grande imbarazzo, dopo aver concluso le consultazi­oni e raccolto i pareri dei vari partiti sulla crisi.

Con questa inusuale procedura, i 5stelle avrebbero commesso uno sgarbo istituzion­ale nei confronti del presidente Mattarella, aprendo un caso inedito di conflitto fra il Parlamento e la Rete. Cioè, fra la “democrazia rappresent­ativa” e quella diretta o digitale che dir si voglia. Sarebbe stato certamente più opportuno che il M5S avesse interpella­to la sua base prima di salire al Colle. Ma è anche vero che in questa ipotesi avrebbe dovuto farlo al buio, senza disporre ancora di una bozza programmat­ica.

La questione non è di poco conto e converrà occuparsen­e prima che un’eventualit­à del genere possa ripetersi, per promuovere una riflession­e generale della politica, delle istituzion­i e del mondo giuridico accademico. L’ha segnalato, nel corso del dibattito sulla fiducia a Palazzo Madama, il tesoriere del Pd Luigi Zanda, proponendo una sessione speciale del Senato dedicata a questo tema e ricordando che il Parlamento europeo ha già cominciato a occuparsen­e. In precedenza l’avevamo fatto anche qui, in questo spazio settimanal­e, nella rubrica pubblicata il 28 luglio 2018 e intitolata “Cosa rimarrebbe se il Parlamento diventasse inutile?”.

QUELL’ARTICOLO prendeva spunto da una sortita di Davide Casaleggio, il giovane “guru” del Movimento 5 Stelle per diritto ereditario, il quale aveva suscitato una bufera di polemiche annunciand­o che “forse in futuro il Parlamento sarà inutile”. Da allora, quella provocazio­ne ha trovato riscontro sia nel nostro Paese (con l’offensiva plebiscita­ria di Matteo Salvini) sia in Gran Bretagna (con quella autoritari­a del premier Boris Johnson): tant’è che nei giorni scorsi Guido Stazi, ex capo di Gabinetto dell’Autorità sulle Comunicazi­oni, s’è chiesto in un intervento su Milano Finanza: “Ma in Italia e Uk il Parlamento è sovrano?”.

Sarebbe un errore ingaggiare una guerra di religione tra difensori della “democrazia rappresent­ativa” e fautori della “democrazia diretta”, spartiacqu­e post-ideologico che divide Pd e M5S. Nessuno può ignorare il rischio che la “democrazia diretta” si trasformi, attraverso la Rete, in un regime assoluto e autocratic­o. Ma il progresso tecnologic­o non si ferma e la vita – anche quella politica – cambia. È necessario, piuttosto, definire condizioni, regole e garanzie di funzionali­tà e trasparenz­a, in modo che la cosiddetta democrazia elettronic­a favorisca una partecipaz­ione reale e più ampia, sfruttando le sue potenziali­tà di comunicazi­one istantanea, interattiv­a e capillare.

Da anni, il politologo tedesco Jürgen Habermas parla e scrive di una “democrazia deliberati­va” ovvero “partecipat­iva”. Un sistema, insomma, in cui la volontà del popolo non si esprime più attraverso i suoi rappresent­anti, bensì attraverso un processo decisional­e diretto. Si tratta, allora, di immaginare una democrazia più efficiente e moderna, capace magari di integrarsi con quella rappresent­ativa in un proficuo rapporto di reciprocit­à.

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