Il Fatto Quotidiano

“Il primo re” tra i nomi da Oscar: buone idee ma troppo arcaiche

Il film raffigura Romolo e Remo in modo ferino, ma i Romani dell’VIII secolo erano già evoluti

- » PAOLO ISOTTA

Il candidato italiano agli Oscar sarà scelto tra “Martin Eden”, “La paranza dei bambini”, “Il traditore”, “Il vizio della speranza” e “Il primo re”. Paolo Isotta ci racconta quest’ultimo.

Non

ero riuscito ad assistervi quando si proiettava nelle ( residue) sale, e così ho acquistato il dischetto e l’ho guardato a casa. Si tratta di un film del quale si è assai parlato, Il primo re, con la regia di Matteo Rovere; ideato da lui, con una folta schiera di consulenti fra i quali molti professori della Sapienza. E occorre ammettere: non è idea di tutti i giorni quella di realizzare, invece del solito giallo o storia spionistic­a o storia sexy, un film dedicato alla nascita di Roma. I protagonis­ti ne sono Romolo e Remo.

La tesi di fondo è più che interessan­te. I due gemelli, reietti e fuggiaschi, si amano sviscerata­mente. Remo è dei due la personalit­à dominante. Durante le loro scorriband­e insieme con un gruppo di disperati e schiavi fuggitivi, Romolo è ferito quasi a morte. I seguaci vorrebbero abbandonar­lo perché il peso del trasporto rallentere­bbe la fuga e potrebbero morire tutti. Remo s’impone: riesce a curare il fratello e salvarlo. Ma nel finale Romolo lo uccide: come narra il mito, e giusta l’archetipo mitico. La spiegazion­e del mito è di carattere simbolico: l’aver Remo varcato indebitame­nte il pomerium (il confine esterno) tracciato con l’aratro da Romolo. Nel film, Remo sviluppa un carattere modernamen­te individual­ista, sostenendo la sua volontà esser più forte di quella degli dei: e addirittur­a uccide una sacerdotes­sa di Vesta (questo particolar­e è ridicolmen­te antistoric­o e cozza con tutto ciò che sappiamo della mentalità antica). Romolo comprende invece che la guida degli dei consentirà di fondare la città che fonda la civiltà. A questo punto Remo quasi sollecita che il fratello lo uccida.

UN’ALTRA IDEA originale, la quale di per sé non può essere che lodata, è che i personaggi si esprimono in una presunta lingua originaria ( ur- Sp rache) denominata p r oto-latino. Vale a dire la variante romana di quel linguaggio indoeurope­o che, nelle sue varie forme, dall’osco all’etrusco al sabellico al sabino all’umbro al sannitico, si parlava, insieme col greco, nel Lazio. Certo i professori che hanno fatto da consulenti ne sanno mille volte più di me. Ma la mia perples

sità su questo punto si connette con l’atmosfera generale del film. Il più antico latino è una lingua recente: per quel che ne sappiamo per documenti scritti, non risale a prima del quinto secolo. Il Lazio dell’ottavo secolo era invece una terra civile e antica; i fondamenti culturali della quale erano soprattutt­o etruschi e sabini. L’orda dipinta dal regista Rovere è a tal punto barbarica e, per certi versi, incapace di pensiero articolato (intima contraddiz­ione col resto) da dare l’idea di

qualcosa risalente a circa ottomila anni prima della nascita di Roma. Fa pensare a un film fantastico e a modo suo non privo di pregi di molti anni fa, La guerra del fuoco.

La Vita di Romolo di Plutarco e l’inizio della Storia di Livio dipingono un quadro assolutame­nte diverso. Mostrano la koinè di civiltà del Lazio dell’ottavo secolo, attribuend­o all’elemento etrusco e al sabino la basilare importanza in ordine alla fondazione delle istituzion­i politiche e, soprattutt­o, religiose. E parlano della minuzia ritualisti­ca, prettament­e romana, con la quale sin dall’inizio esse erano osservate. Nel Settecento (da Giovan Battista Vico) e nell’Ottocento (i grandi storici di scuola germanica) a Livio e Plutarco si attribuiva un valore mitico-favolistic­o. Più il tempo passa, più la loro precisione storica viene ammessa (“Livio che non erra”, fantastica anticipazi­one di Dante!). Sul Palatino il primo insediamen­to è stato da tempo individuat­o, compresa la casa di Romolo, la regia. Che, come i templi, ha il tetto spiovente il quale documenta l’origine nordica dei popoli indoeurope­i: la neve era uno dei loro nemici.

Insomma: Il primo re, con tutti i suoi meriti, è un film troppo arcaico nella raffiguraz­ione dell’uomo, troppo ferino nei caratteri che gli attribuisc­e. Dà alla religione il suo peso; ma dimentica che la religione è innanzitut­to la regolament­azione della violenza entro schemi rituali, la regolament­azione dei rapporti civili e la fondazione delle classi sociali.

Papabili per la candidatur­a anche Marcello, Giovannesi, Bellocchio e De Angelis

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Ansa Il regista Matteo Rovere
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Una scena de “Il primo re” di Rovere, uscito all’inizio del 2019. Alessandro Borghi ha interpreta­to Remo
Sangue e potere Una scena de “Il primo re” di Rovere, uscito all’inizio del 2019. Alessandro Borghi ha interpreta­to Remo

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