Manutenzioni al risparmio, l’ordine viene sempre dall’alto. E il “capo” finisce nei guai
Da Avellino a Genova, le indagini hanno travolto il sistema per ridurre i costi Nuovi problemi La Procura irpina acquisisce gli atti di Genova Ricorso contro l’assoluzione per la strage del bus
“Devo spendere il meno possibile... sono entrati i tedeschi e a te non te ne frega un cazzo, sono entrati i cinesi... devo ridurre al massimo i costi... e devo essere intelligente de porta’ alla fine della concessione... lo capisci?”. Basta questa frase a spiegare l’accelerazione impressa dai Benetton per il ricambio al vertice di Atlantia, che controlla Autostrade per l’Italia (Aspi). È lo sfogo con cui Michele Donferri Mitelli, nel 2017 direttore manutenzione di Aspi, cerca di tacitare i dubbi sui lavori del viadotto Giustina (Marche). A registrarlo non sono i pm genovesi che indagano sui report falsati sui viadotti Pecetti e Paolillo (6 tecnici indagati), ma un dirigente della controllata Spea, che teme di fare da parafulmine ai suoi capi. Il gip di Genova, Angela Maria Nutini, annota: “Le logiche commerciali sottese agli interventi manutentivi emergono con prepotenza”.
DA GIORNI la posizione di Giovanni Castellucci, per 15 anni padre- padrone di Autostrade e da novembre rimasto a capo di Atlantia, si era fatta insostenibile. Le ragioni delle dimissioni affondano nei sospetti sul “piano di sopra” fatti filtrare da Ponzano Veneto. Le indagini che stanno travolgendo Aspi svelano comportamenti illeciti di dirigenti del gruppo che la logica suggerisce essere frutto di sollecitazioni o destinatarie di una copertura aziendale. Un’ombra sul sistema che ha permesso per oltre un decennio di pompare grassi dividendi ai Benetton.
La necessità di risparmiare a ogni costo è l’obiettivo che guida i dirigenti indagati. “La logica di un simile generalizzato comportamento – scrive il gip Nutini – sembra da ricondurre a uno spirito di corpo aziendale, probabilmente motivato dal tornaconto economico”. Così come derubricare alcuni interventi come di tipo locale e non strutturale per evitare costose lungaggini. Alcuni indagati peraltro cercano di ostacolare le indagini.
Come è possibile che una simile strategia venga decisa da singoli dirigenti e tecnici? A gennaio, mentre Castellucci lascia Aspi, uno degli indagati, Gianni Marrone spiega al direttore generale Roberto Tomasi (poi diventato ad) di non aver consegnato ai pm tutta la documentazione sul Paolillo.
Nomi che peraltro si ripetono anche in altre inchieste. Marrone è stato condannato nel processo di Avellino sulla strage del bus precipitato a luglio 2013 dal viadotto Acqualonga ( 40 morti) dopo aver sfondato le barriere con i tirafondi ormai marci. Sono stati condannati i dirigenti del sesto tronco (Cassino) ma non i vertici di Aspi, tra cui Castellucci, assolto dall’accusa di omicidio colposo. Nell’inchiesta ligure uno dei dirigenti condannati,
Il gip di Genova “Dirigenti spinti da uno spirito di corpo aziendale motivato dal tornaconto economico”
Paolo Berti ( nel frattempo promosso a numero 3 dell’azienda), viene intercettato mentre manifesta a Donferri il proprio disappunto per essere stato condannato, lamentandosi che avrebbe potuto” dire la verità e così mettere nei guai anche altre persone”. Donferri risponde che non ci avrebbe guadagnato nulla mentre, alla luce del suo comportamento, può “stringere uno accordo col capo”. I pm genovesi hanno trasmesso gli atti ai colleghi campani, che nel frattempo hanno fatto ricorso contro l’assoluzione di Castellucci. Probabile che le indagini vengano riaperte.
In attesa del processo d’appello, nuove ombre su Aspi arrivano pure dall’ inchiesta bis della procura irpina sulla insicurezza delle barriere che nei giorni scorsi ha portato al sequestro di 10 viadotti lungo la
A14 tra Abruzzo e Marche. Ma pratic amente tutte quelle sui viadotti della rete Aspi non sarebbero a norma. La vicenda, che coinvolge i dirigenti dei due tronchi, è surreale. Dopo la strage di Avellino, Aspi ha messo a punto un sistema (al risparmio) per sostituire i tiranti Liebig delle barriere con delle barre filettate, senza avvertire il ministero e farselo approvare. Nel 2015 lo scopre il direttore dell’Ufficio ispettivo del Mit di Roma, Placido Migliorino. Aspi risponde con una lunga guerra di pareri e carte bollate che si conclude con la bocciatura del progetto da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che dà ragione a Migliorino. Per mettersi in regola Aspi ha 5-6 anni per sostituire tutte le barriere. Costo: 1 miliardo. Cifra che Aspi è riuscita a rinviare per 5 anni. Ma a essere indagati sono solo dirigenti locali e il responsabile barriere del gruppo.