LA GUERRA DI MALAGÒ SUL MALLOPPO CONI
Giovanni Malagò, presidente del Coni e protagonista di una singolare istigazione al Comitato Olimpico Internazionale perché sanzioni una legge dello Stato italiano – al punto di mettere in discussione la partecipazione italiana alle Olimpiadi di Tokyo e l’assegnazione dei Giochi invernali del 2026 a Milano e Cortina –, non è nuovo a imprese muscolari a difesa di interessi privati. La guerra inizia con l’approvazione di una legge delega che ricolloca i mezzi a disposizione dello sport non soltanto olimpico (la cifra non disprezzabile di 408 milioni prevista dal bilancio 2019), precedentemente gestiti dal Coni, in una società (Sport e Salute) al 100% sotto il controllo del ministero dell’Economia. Non si tratta di fondi destinati alla partecipazione olimpica, per i quali sono stati stanziati 40 milioni, ma all’attività sportiva nel suo complesso ( scuola, medicina sportiva, impianti periferici). Così l’Italia si conforma alla legislazione o alla prassi di molti Paesi.
A PARZIALE discarico delle responsabilità dell’uomo del Circolo Aniene va detto che il malloppo, da lui difeso con le unghie e con i denti e che rende il suo Coni un’anomalia nel mondo occidentale, ha radici molto lontane. Quando cadde il regime fascista, che aveva puntato con successo sullo sport a maggior gloria delle sue fortune periture, Giulio Onesti (socialista) ripeté in piccolo l’impresa di Enrico Mattei, diventando il sovrano di quanto era stato chiamato a liquidare, assicurando al nascente Coni non solo la rappresentanza olimpica dell’Italia, come previsto dalla Carta olimpica, ma tutti i fondi da allora destinati allo sport italiano.
Altra stazza comunque rispetto a Malagò che, per difendere ruolo e malloppo, mette in bocca al presidente del Cio, fingendo di fare il suo dovere, un’insostenibile interpretazione della Carta olimpica (aggiornata nel 2019) che in nessun punto si attribuisce o attribuisce ai comitati olimpici nazionali compiti che vadano oltre la gestione della rappresentanza dei singoli Paesi ai giochi olimpici estivi e invernali e delle eventuali relative candidature. Né all’articolo 2 (ove vengono elencati i compiti del Cio) né all’articolo 27 invocato dall’avvocato Malagò (che precisa quelli dei comitati nazionali) né nei “Bye Laws”, o regolamenti, a esso riferiti, testualmente in difesa del “Olympic Movement”(le parole sono pietre) la Carta prevede sanzioni, per una diversa allocazione di risorse da parte dello Stato per compiti che esulano dalla partecipazione alle olimpiadi. Le sanzioni previste – compresa quella della sospensione del comitato olimpico nazionale nel caso in cui “ogni atto da parte di qualsiasi soggetto governativo o altro ostacoli attività o diritto di espressione del comitato nazionale”(“any act by any governmental or other body causes the activity of tne NOC or the making and expression of its will to be hampered”)– si riferiscono ai suoi compiti di presenza e rappresentanza alle olimpiadi. Come potrebbe andare oltre, la Carta, vista l’anomalia rappresentata dal Coni rispetto a molti altri comitati nazionali? Consiglierei, invece, prudenza al nuovo ministro Spadafora, nella formulazione della delega prevista dalla legge, riguardo alla nomina del presidente del Coni – in questi giorni si parla di commissariamento – di cui la Carta prevede l’apoliticità e l’autonomia.
Del resto Malagò, affiancato da altri suoi sodali nel Cio, non è nuovo a queste sviste formali, presumibilmente compiute a occhi aperti. Come quando, col sostegno politico di Renzi e Salvini, si è inventato l’Olimpiade delle Alpi, a dispetto dell’articolo 5 della Carta che, pur consentendo teatri di gara extra moenia, conferma l’assegnazione giuridica e nominale di un solo “host” ospitante (chi ha mai sentito parlare di Olimpiadi di una nazione o di una pianura?). Il tutto al solo scopo di escludere Torino che disponeva della candidatura singola, conforme all’articolo 5, dotata d’impianti restaurabili con poca spesa, quindi più sostenibile sia dal punto di vista dei costi che dell’ambiente. Ecco pronta Milano, a 260 chilometri dalle montagne, con San Siro e gli impianti di Cortina da costruire da zero a spese dei contribuenti. Per non parlare delle ripetute candidature olimpiche di Roma, accompagnate da minacce ai sindaci Marino e Raggi, con l’obiettivo di costruire un novello villaggio olimpico a Tor Vergata, sotto l’egida di Caltagirone.
CHIUDO con alcuni consigli al nuovo governo: ricondurre il Coni ai compiti previsti dalla Carta olimpica, senza lederne l’autonomia; usare il denaro pubblico disponibile per una politica a sostegno della salute dei giovani, della scuola, delle periferie come previsto dalla legge delega approvata; evitare candidature internazionali di qualunque tipo, per luoghi già congestionati (Roma, Firenze, Venezia, Milano) e sprechi di denaro pubblico conseguenti; usarle, invece, per valorizzare le straordinarie bellezze spalmate sull’intero territorio nazionale come motore di sviluppo di un turismo sostenibile.