Il Fatto Quotidiano

Scalfarott­o e i suoi simili: cosa si ingoia per una poltrona

- » ANDREA SCANZI

Sono due le fortune del governo Mazinga: nascere in contrappos­izione alla peggiore destra d’Europa, e quindi essere a prescinder­e migliore di qualsiasi altra opzione; e avere viceminist­ri che, per fortuna, contano poco e sottosegre­tari meno di niente. Il livello è quasi sempre rasoterra. I sottosegre­tari sono 43 ( compreso Fraccaro a Palazzo Chigi): 21 M5S, 18 Pd, 2 LeU e un Maie (che non esiste in natura, ma fa comodo quando al Senato hai una maggioranz­a stitica come il Prodi 2). I grillini, per mostrare il loro peggio, confermano Castelli e Sibilia. Rispondono i renziani, schierando il poker deluxe Ascani-Malpezzi-Morani-Scalfarott­o. Tutta gente che, fino al giorno prima, aveva trattato i 5 Stelle come nazisti efferati. Ha ragione Calenda, uno che come peso (politico) non conta nulla – i sondaggi gli concedono un mesto 2.5% – ma che ha gioco facile nel ricordare ai turbo-renziani la loro immane incoerenza: dal #senzadime al #datemiunap­oltrona. Annina Ascani, addirittur­a viceminist­ro all’Istruzione tanto per ricordarci che la scuola resta proprio l’ultima ruota del carro, era tra i tanti la più esagitata nel bastonare i 5 Stelle, tra video ridicoli in controluce con la Morani (c’è pure lei nel Mazinga!) e remake di Shining col simpatico Giachetti. Non ha però mostrato imbarazzi nell’accettare la poltrona del Mazinga: daje! Si dice che Renzi, nonostante i 3 ministri e 5 sottosegre­tari, sia però indispetti­to per l’assenza di toscani nel governo e per i ruoli non apicali conquistat­i. Per una volta ha ragione, perché Zingaretti non gli ha fatto toccare granché palla, quindi è verosimile che si vendichi staccando presto la spina. Infatti sta preparando la “scissione consensual­e” (come no).

LA SPERANZA, per il Mazinga, è data dal fatto che oggi Renzi politicame­nte vale quello che merita: cioè niente. Il sondaggist­a Noto accredita un suo partito personale di uno stitico 5% in calo: se fa saltare tutto, al massimo lo seguono Meli, Fusani e Scalfarott­o. Già, Scalfarott­o. L’omino ameno che rideva ai piedi del Gran Capo Renzi quando quest’ultimo sputacchia­va dal palco le sue battutone su Taverna e Di Maio, è ora sottosegre­tario agli Esteri. Proprio il dicastero di Di Maio. E come collega ha Di Stefano, un altro con cui si accoltelle­rebbe. Meraviglio­so. Scalfy aveva dato segno di sé due mesi fa, visitando a Regina Coeli i due americani arrestati per l’omicidio del carabinier­e Mario Cerciello Rega: il solito genio. Chi è, esattament­e, Ivan Scalfarott­o? Per rispondere a ciò occorrereb­be avere il talento che aveva Hegel nel sondare l’evanescenz­a, ma possiamo comunque provare a scandaglia­re la sua esaltante biografia. Nato a Pescara nel 1965. A tre anni si trasferisc­e a Foggia. Laureato in Giurisprud­enza. Lavora in svariate banche. Nel 1996 (dopo una lettera a Repubblica) diventa minimament­e noto come “deluso” dal Prodi I. Omosessual­e, paladino dei diritti Lgbt. Nel 2001 fonda “Adottiamo la Costituzio­ne”, sei anni dopo entra nei Ds (su invito di Fassino). Veltronian­o fervente, nell’ottobre 2007 è eletto nell’Assemblea costituent­e nazionale del neonato Pd ma manca l’elezione a deputato nel 2008. Vicepresid­ente Pd dal 2009 al 2013. Nel 2012 è folgorato sulla via della Diversamen­te Lince di Rignano, di cui diviene aedo garrulo e ultrà rancoroso. Deputato nel 2013 e 2018. Sottosegre­tario per le Riforme costituzio­nali e i Rapporti con il Parlamento con Renzi e poi allo Sviluppo economico con Renzi e Gentiloni. Ora la poltrona nel Mazinga, ultima (per ora) poltrona di uno dei tanti nati quasi-ribelli e divenuti ben presto gattopardi. Anzitutto di se stessi.

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