Raid sui pozzi di petrolio: prove tecniche di guerra
Alta tensione Ryad accusa l’Iran di aver colpito le raffinerie sabato scorso: rincara il prezzo del greggio, Washington promette di aiutare gli alleati
L’attacco di sabato degli houthi, o di chi per loro, agli impianti petroliferi sauditi avviluppa sempre più in un’unica matassa tutte le crisi del Golfo e rischia di coinvolgere l’Iraq, che ne pareva fuori. Washington punta il dito contro Teheran e viaggia di concerto con Ryad. La speculazione energetica internazionale s’affretta a gridare allo stato d’emergenza per avallare aumenti di prezzo immotivati da quanto accaduto: il danno è stimato dell’ordine del 5% delle forniture petrolifere mondiali, ma – secondo esperti citati dal New York Times – dovrebbe essere di breve durata.
NELLO STESSO GIORNO, l’Iran si trova sotto processo su due fronti. Nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove gli Usa lo accusano in modo aperto; e all’Aiea, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, a Vienna, dove gli vengono contestati gli sforamenti dell’accordo sul nucleare (denunciato da oltre un anno da Washington, che ha ripristinato in modo unilaterale le sanzioni contro Teheran).
Alla vigilia delle elezioni politiche israeliane – oggi si vota -, il rialzo della tensione nella Regione va a tutto vantaggio delle posizioni securitarie del premier uscente Benjamin Netanyahu, cui Trump, da quando è alla Casa Bianca, non nega mai un favore; mentre, ad Ankara, Turchia, Russia e Iran si fanno garanti dell’integrità territoriale della Siria nel momento in cui se ne riservano aree d’in fl ue nz a. Con a fianco Putin e Rohani, Erdogan parla di un “consenso assoluto” fra loro tre e afferma che il loro incontro dà “una nuova spinta” al processo di pace di Astana da loro patrocinato, “la sola iniziativa che ha permesso di fare passi avanti concreti in Siria”. Gli Stati Uniti diffondono foto satellitari che mostrano almeno 17 punti di impatto negli impianti petroliferi sauditi di attacchi condotti con droni provenienti da nord o nord-ovest: lo Yemen si trova a sud. Il che fa ipotizzare un raid proveniente dal Golfo persico settentrionale, cioè dall’Iran o dall’Iraq, dove ci sono ancora milizie sciite vicine a Teheran, dislocate lì quando la priorità era combattere il sedicente Stato islamico sunnita, l’Isis.
Gli houthi, gli insorti sciiti yemeniti, hanno però rivendicato l’azione, che ha colpito una raffineria, la più grande al mondo, e un importante giacimento di petrolio gestito dalla compagnia petrolifera nazionale Saudi Aramco. Anche le indagini condotte dall'Arabia Saudita suggeriscono che gli attacchi “non sono stati lanciati dallo Yemen” e che sono state usate “armi iraniane” (gli houthi sono comunque foraggiati dall’Iran). Molto più prudente l'inviato dell'Onu in Yemen, Martin Griffiths: al Consiglio di Sicurezza riferisce che “non è del tutto chiaro chi sia dietro l'attacco alle strutture petrolifere saudite”: “È un incidente estremamente serio, con conseguenze che vanno molto al di là della regione”, aggiunge, rilevando che “gli attacchi rischiano di trascinare lo Yemen in una conflagrazione regionale”.
PER GLI STATI UNITI, si tratta di “un attacco all'approvvigionamento energetico mondiale”. Kelly Craft, ambasciatrice Usa di fresca nomina alle Nazioni Unite, cita il segretario di Stato Mike Pompeo: “Non ci sono prove che l'attacco arrivi dallo Yemen, anzi le informazioni di cui disponiamo indicano che le responsabilità sono dell'Iran”. Messo alle strette dalle sanzioni, l’Iran ha finora innescato provocazioni e scaramucce nella Regione, facendo intravvedere i rischi per la libertà di navigazione nel Golfo, ma cercando di evitare un confronto militare con gli Stati Uniti. Ieri Le unità navali dei Pasdaran iraniani hanno sequestrato nello stretto di Hormuz il cargo Linch, nave sospettata di contrabbandare gasolio verso gli Emirati Arabi Uniti. Nell’operazione è stato fermato anche l’equipaggio.
Nave sequestrata Un cargo emiratino pieno di ‘oro nero’ bloccato nello Stretto di Hormuz da Teheran Le indagini sul raid aereo continuano e tutti gli indizi mostrano che le armi usate in entrambi gli attacchi provengono dall’Iran
TURKI AL-MALIKI