Oggi Renzi molla il Pd con pochi intimi, ma lascia in pegno Lotti & C.
Scissione L’ex segretario annuncia l’addio: costituirà con alcuni suoi sodali gruppi autonomi in Parlamento Altri renziani però resteranno a presidiare il Nazareno...
L’ultima avventura: gruppi autonomi in Parlamento. Ma criticò Bersani & C.
“Il Pd non è più la mia casa”. Coi “suoi” parlamentari, Matteo Renzi, in questi giorni ha argomentato la sua uscita così. Perché ormai è cosa fatta, con un timing tipico della tattica politica dell’ex premier: lanciare il governo coi 5 Stelle come una “sua” operazione, togliendo il veto ai grillini, far nascere il Conte 2 e subito dopo smarcarsi, per poterlo condizionare, pesare nelle scelte e partecipare alla spartizione dei posti in Parlamento (dalle presidenze di Commissione in poi) e in futuro, soprattutto, a quella delle 400 nomine.
STAMATTINA Renzi annuncerà le sue ragioni dalle colonne di Repubblica. Poi dovrebbe andare nel salotto di Bruno Vespa, a Porta a Porta. In molti si chiedono esattamente quali parole userà: da Nicola Zingaretti a Dario Franceschini lo hanno sfidato a spiegare agli italiani questa scelta.
Occupare lo spazio al centro, uscire da un Pd ormai troppo schiacciato a sinistra, con i fuoriusciti bersaniani pronti a rientrare, offrire a Giuseppe Conte un allargamento della maggioranza “attraendo” centristi e berlusconiani: le motivazioni politiche l’ex premier e i suoi le raccontano così. Ma quello che viene prima di tutto, per Matteo Renzi, resta la necessità di esserci, l’incapacità di vedersi secondo, la volontà di stare nel gioco da protagonista.
E allora, poco importa se i sondaggi a sua disposizione non sono entusiasmanti ( si parla di un 3% di consenso), poco importa se l’operazione nasce già in affanno e con poca chiarezza su quale sarà la sua consistenza. Pensata con questa tempistica e preparata tra mezzi annunci e mezze smentite (anche questo un copione ormai noto), si tratta di una scissione in due fasi: si inizia con i gruppi parlamentari in questi giorni; il lancio del nuovo soggetto politico alla Leopolda a ottobre. Una sorta di contenitore “civico”, a partire dai Comitati Azione Civile, ormai nati da più di un anno.
Intanto Renzi ha chiamato Conte e gli ha assicurato il suo sostegno. I problemi e le incognite sono andati avanti per tutta la giornata di ieri: tanto per cominciare non sono chiuse le trattative con i singoli parlamentari. Alla Camera, dove bastano 20 deputati, i renziani costituiranno un gruppo nuovo: in prima linea Luigi Marattin (che dovrebbe fare il capogruppo), Maria Elena Boschi, Ettore Rosato, Anna Ascani, Roberto Giachetti, Luciano Nobili...
AL SENATO, la cosa è più complicata. Ed è già partita tutta in salita. A sondare (e pressare) i 35 potenziali “uscenti” sono stati Renzi, Bonifazi e Rosato. A sera, il pallottoliere ne contava 15, di cui 7 incerti. Con un Andrea Marcucci, che a un certo punto si è chiamato fuori, davanti allo svuotamento del gruppo che presiede. Le indecisioni personali vengono prima dei problemi tecnici. Per formare un gruppo, con il nuovo Regolamento, c’è bisogno di un simbolo che si è presentato alle elezioni. Renzi lo sta chiedendo da mesi a Riccardo Nencini (Psi), che però ieri sera pareva sfilarsi. L’alternativa sarebbe spostare una serie di fedelissimi nel Gruppo Misto e giocare su due tavoli, visto che Marcucci, prima di tutto, resterà a capo del gruppo Pd. Pronti a uscire sono lo stesso Renzi, Francesco Bonifazi e un piccolo nucleo, guidato da Tommaso Cerno e Teresa Bellanova ( che sarà pure il capo-delegazione mel governo). Ci sarà Pier Ferdinando Casini. In forse, a questo punto, Nencini.
Anche su nome e simbolo vanno avanti le discussioni. E non solo su quello. Per tutta la giornata di ieri Lorenzo Guerini e Luca Lotti hanno cercato di fermare Renzi. Loro, con Base Riformista, restano nel Pd, hanno scelto un’altra partita: quella di condizionare Zingaretti dall’interno. Una tattica che parte da quando lo stesso Lotti voleva convincere l’allora solo governatore del Lazio a correre al congresso come candidato renziano.
QUI SI APRE un’altra partita: Renzi vorrebbe muovere alcuni di quelli che restano come sue pedine. È il caso, in Senato, di Alan Ferrari e Dario Stefano. Oltre a Marcucci. Il suo posto, però, è il primo bersaglio del Pd zingarettiano. L’ex premier si aspetta che in molti lo seguano, nei prossimi mesi. Ma la realtà potrebbe essere un’altra: da Dario Nardella a Alessia Morani, molti “renziani” sono saldamente posizionati nei dem. Tutto da vedere anche quanti si muoveranno da Forza Italia: in prima fila ci sarebbe Mara Carfagna, che però continua a negare.
“Dietro l’angolo c’è l’effetto Rutelli”, era il commento più gettonato ieri. L’Api, formazione dell’ex sindaco di Roma, non superò la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento. Il riferimento non è puramente casuale.
Fuori, ma dentro Marcucci sarà ancora capogruppo dem in Senato. Alla Camera resta pure Luca Lotti L’amo verso destra
Il nuovo “movimento” nascerà alla Leopolda e parlerà ai “moderati” di FI (Carfagna su tutti)