Il Fatto Quotidiano

Tanta malasanità e stupri prescritti: storie di ordinaria impunità italiana

A Bologna e a Roma, in Liguria e in Basilicata: tante storie non sarebbero finite nel nulla con lo stop dopo il primo grado

- » ANTONELLA MASCALI

La salvifica prescrizio­ne per imputati colpevoli non fa avere giustizia sul fronte penale, neppure a tanti cittadini comuni vittime di malasanità o ai familiari di pazienti morti. Sia l’omicidio colposo sia le lesioni personali gravissime colpose hanno come termine di prescrizio­ne 7 anni e 6 mesi. Ma il Pd, come gli avvocati penalisti, fanno ancora barricate contro il blocco dopo il primo grado.

PER ESEMPIO, gli accertamen­ti delle responsabi­lità nell’ambito delle colpe mediche sono molto difficili, i tempi delle perizie lunghissim­e e così la tagliola della prescrizio­ne è spesso garantita. Da Nord a Sud.

A Bologna, Daniela Lanzoni è morta di setticemia dopo l’asportazio­ne di un rene sano a soli 54 anni. Lei ha perso la vita in questo modo assurdo mentre gli imputati del Policlinic­o Sant’Orsola, accusati di omicidio colposo, l’hanno fatta franca grazie alla prescrizio­ne dichiarata al processo d’appello, il 25 ottobre 2016. La donna è morta il 27 settembre 2007, due giorni dopo l’inutile operazione eseguita per un incredibil­e scambio di cartelle cliniche: una Tac e un altro referto intestato a una paziente con lo stesso cognome ma più vecchia di ben 32 anni hanno portato i medici ad asportarle un rene perfettame­nte funzionant­e. In primo grado era stato condannato a un anno e 10 mesi l’ex primario di Urologia Giuseppe Severini, imputato oltre che per omicidio colposo anche per falso. Il tecnico radiologo Stefano Chiari era stato condannato per omicidio colposo a 1 anno. Il Sant’Orsola si era costituito parte civile così come i familiari della vittima, risarciti.

In Liguria, Valentina, studentess­a di 19 anni, è morta per un aneurisma cerebrale nel dicembre 2005 all’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure. Due medici dell’ospedale di Savona furono condannati in primo grado rispettiva­mente a 1 anno e a 8 mesi per omicidio colposo per non aver eseguito degli esami specifici che avrebbero potuto salvare la vita della ragazza. In Appello, i giudici di Genova, il 25 marzo 2014, hanno dichiarato prescritto il reato.

Nel 2010, al Fatebenefr­atelli di Roma, per setticemia post intervento muore Dragana Zivanovic, ricercatri­ce, 40 anni. Durante l’operazione, un sondino difettoso aveva messo in circolo liquidi infetti. Un fatto sottovalut­ato che ha provocato la morte della donna. Nel 2018 viene condannato a 8 mesi l’endoscopis­ta che aveva usato il sondino difettoso, Ottavio Bassi. Solo nel 2016 invece, si arriva a celebrare l’udienza preliminar­e per il procedimen­to parallelo a carico di 5 medici imputati per non aver diagnostic­ato l’infezione. Il primo grado comincia a febbraio 2017 e un anno fa il reato è stato prescritto. Imputati salvi.

È inchiodato su una sedia a rotelle Giuseppe Locaso, 46 anni, di Marconia di Pisticci, in Basilicata. La pena a vita, per la vittima, è dovuta a una diagnosi sbagliata, nel 2004, all’ospedale “Madonna delle Gr az ie” di Matera. Reato prescritto in primo grado, dopo 8 anni, per i medici imputati di lesioni gravissime colpose. Giuseppe Locaso aveva un ematoma diagnostic­ato troppo tardi all’ospedale materano e così il paziente ha subito la lesione del midollo spinale che lo costringe a vivere sulla carrozzell­a.

Doveva essere un intervento di routine e si è trasformat­o in tragedia a vita per la paziente. Nessuna conseguenz­a per il responsabi­le. A Bari, in una clinica privata, a fine 2007, una donna di 63 anni è rimasta paraplegic­a dopo un’operazione per un’ernia del disco. Il neurochiru­rgo imputato per lesioni colpose gravissime è stato salvato dalla prescrizio­ne in Appello, nel 2015.

MA IN QUESTO PAESE, dove la prescrizio­ne scorre dalla consumazio­ne del reato e non dalla sua scoperta, può finire in nulla anche un processo per un reato mostruoso come quello di stupro nei confronti di una bambina. Certo, è un esempio estremo, ma è accaduto perché pur essendo i tempi di prescrizio­ne, in astratto, lunghi (17 anni e 6 mesi per violenza sessuale su minore di 10 anni, 15 anni su minore sopra i 10 anni) quando i fatti sono sul tavolo di un magistrato sono di solito passati molti anni. Infatti, a fine ottobre 2017, la Corte d’appello di Venezia ha dichiarato la prescrizio­ne del reato di violenza sessuale commesso da un uomo che aveva abusato di sua figlia oltre vent’anni fa, quando aveva appena 8 anni.

Molti anni dopo, la vittima ha trovato il coraggio di denunciare anche grazie all’aiuto della madre, dei fratelli e del fidanzato. Il padre stupratore, in primo grado, era stato condannato dal tribunale di Treviso a 10 anni. Due anni fa, la prescrizio­ne lo salva anche perché nel frattempo la Cassazione a Sezioni Unite aveva annullato l’allungamen­to del termine di prescrizio­ne previsto nel caso delle cosiddette “aggravanti a effetto speciale”, riconosciu­te in casi del genere. Ma è ovvio che se ci fosse stato il blocco della prescrizio­ne almeno in primo grado, il padre stupratore sarebbe andato in carcere.

La scadenza L’omicidio colposo e le lesioni gravissime colpose si prescrivon­o in 7 anni e 6 mesi

Tempi dilatati Accertare le colpe mediche, però, richiede diverse perizie lunghissim­e

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Ansa In corsia Sono alcuni dei processi di maggiore durata

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