Autostrade, storia del grande scippo che fece ricchi Benetton e gli altri
All’inizio del 2000, la società Schemaventotto, controllata dalla famiglia Benetton, acquistò dall’Iri il 30% della Autostrade Spa per 2,5 miliardi. Dopo 3 anni la sua quota era salita al 50% ed erano riusciti a recuperare metà di quanto pagato all’Iri per il 30%. Il valore dell’investimento residuo era salito di sei volte in tre anni, ed avevano ancora davanti 35 anni di concessione, con una società che nell’ultimo decennio ha guadagnato 750 milioni netti l’anno. In buona sostanza lo Stato ha regalato la nostra rete autostradale. Capire come questo sia potuto avvenire non è facile. Autostrade era gestita bene dall’Iri, aveva anche inventato il Telepass. Fu privatizzata solo per fare cassa col governo D’Alema, quando non ce n’era necessità perché le finanze dell’Iri erano state risanate. Fu svenduta perché gli investitori percepivano un “r ischio regolatorio” elevato: la formula di revisione tariffaria era ambigua e non c’era un’Autorità indipendente che li tutelasse, mentre in passato le tariffe erano state spesso congelate dal governo.
A FARE LA FORTUNA dei Benetton (e degli azionisti della Schemaventotto) è stato il IV Atto aggiuntivo stilato nel 2002 dall’Anas, auspice il ministro Pietro Lunardi. Con l’Atto si dava un’interpretazione della formula tariffaria molto favorevole alla società. Secondo gli esperti del ministero dell’Economia le tariffe del quinquennio 2003-2007 avrebbero dovuto essere del 20% inferiori a quanto concesso dall’Anas. Si venne a creare un potenziale conflitto tra Lunardi e il ministro dell’Economia Tremonti che Berlusconi pensò bene di risolvere facendo approvare il IV Atto per legge, da parlamentari che non avevano neppure il diritto di leggerlo perché segretato. È a seguito dell’Atto che esplode il valore di borsa della società, consentendo ai Benetton, nel 2003, di lanciare un’Opa tutta a debito, scaricare il debito sulla Autostrade, vendere una quota per riprendersi la metà di quanto pagato all’Iri e tenersi il 50% della Autostrade.
Il IV Atto prevedeva anche un ambizioso programma di investimenti, quasi tutti per la realizzazione di terze e quarte corsie. Poiché la rete era soggetta a crescente congestione (in 20 anni il traffico era più che raddoppiato) si sarebbe potuto pensare che le nuove corsie fossero necessarie per accomodare la crescita del traffico nei 30 anni di concessione restanti. Quindi Aspi avrebbe potuto ripagarsi questi investimenti col reddito da loro generato, senza aumenti di tariffa. Una scelta imprenditoriale che il ministero avrebbe potuto lasciare alla società. I Benetton invece si sono fatti pagare gli investimenti a piè di lista, sostenendo che non avrebbero avuto effetti positivi sul traffico (se poi questo aumenterà i benefici saranno comunque loro). Stupisce che il Ministero abbia potuto accettare di aumentare i pedaggi per remunerare, e a un tasso assai elevato, investimenti che l’impresa dichiarava non dare quasi alcun reddito. Un investimento che in 30 anni non si ripaga genera una perdita finanziaria totale: perché Anas e Ministero hanno approvato questi investimenti? Forse perché nessuno poteva criticarli: tutto era secretato finché il ministro Toninelli non ha deciso di rendere pubblici convenzioni e piani finanziari. Sulla bilancia c’erano da un lato gli interessi di una società molto potente, dall’altro i “pedaggiati”, ignari e senza rappresentanza. Chi può stupirsi del risultato? L’incremento dei pedaggi della Aspi negli ultimi 15 anni, a parte il recupero dell’inflazione, è stato interamente dovuto proprio alla remunerazione degli investimenti in terze e quarte corsie. Un gran bel regalo.
La buona sorte dei Benetton (e dei soci Aspi) è continuata con la nuova Convenzione stilata nel 2007, ministro Antonio Di Pietro. Con questa la società si mette al riparo da ogni rischio regolatorio e blinda i benefici acquisiti. Dalla formula tariffaria sparisce qualunque riferimento al rendimento congruo sul capitale investito. Il parametro X cambia segno: nella convenzione del 1997 il segno era meno, perché la tariffa avrebbe dovuto diminuire per l’aumento di traffico e produttività; nella nuova convenzione il segno è più perché con la X si remunerano gli investimenti, di riduzioni non si fa più menzione.
IL CROLLO del Morandi ha evidenziato, oltre ai problemi di manutenzione, un altro aspetto della convenzione del 2007 passato sotto silenzio. Gli articoli 9 e 9bis prevedono, in caso di revoca per qualsiasi motivo il pagamento del valore attuale netto dei ricavi previsti sino al termine della concessione. Una clausola capestro che mette il concessionario al riparo anche dalle conseguenze di suoi gravi errori o inadempienze. Questa clausola non era prevista nella convenzione del 1997: perché un tale regalo? Anche in questo caso, tutte le obiezioni degli organi tecnici sono state superate dal governo Berlusconi (come nel 2003) facendo approvare per legge questa e tutti gli altri schemi di convenzioni già sottoscritti dall’Anas. Poco dopo i Benetton parteciparono al salvataggio di Alitalia.
Ultimamente i Benetton hanno sfiorato un altro grande colpo: la proroga di 4 anni della concessione prevista dal ministro Graziano Delrio nell’ambito di un complesso accordo per finanziare il Passante di Genova (la Gronda), che secondo le mie stime avrebbe portato ad Aspi un beneficio finanziario di una decina di miliardi. Toninelli ha bloccato
PRIVATIZZATA SENZA ALCUN MOTIVO La famiglia veneta non ha speso nulla per prendersi un’azienda con redditività stellare: un regalo senza pari
l’approvazione, ma c’è da temere che prima o poi i Benetton trovino un ministro favorevole. Oggi, grazie a una legge voluta da Toninelli, gli incrementi tariffari dovrebbero seguire le regole dell’Autorità dei Trasporti, che prevedono di misurare il capitale investito e limitarne la remunerazione. Le concessionarie si oppongono. L’esito dello scontro avrà effetti rilevanti. I rischi di guai giudiziari o di nuovi regali potrebbero essere ridotti se lo Stato iniziasse ad applicare quanto previsto in tutti i contratti. Ed evitare di affidare in concessione le autostrade.
FAVORI A RAFFICA
Da D’Alema a B., tutti hanno garantito accordi capestro: investimenti scarsi, ma pagati a peso d’oro a danno di tutti