Il Fatto Quotidiano

Per un pugno di voti l’Uruguay sbanda a destra

Riconteggi­o Dopo 15 anni, il Frente Amplio si prepara alla sconfitta di misura contro il Partito nazionale di Luis Lacalle Domani i risultati definitivi

- » MASSIMO CAVALLINI

Ancora si contano i voti in Uruguay. E la Corte elettorale – un organismo che, da sempre, prende molto sul serio l’antico detto “chi va piano va sano e va lontano” – assicura che il conteggio finirà per prolungars­i, presumibil­mente, fino a domani. Mancano infatti, al computo finale – quello in assenza del quale non potrà esservi alcuna proclamazi­one ufficiale del vincitore delle elezioni presidenzi­ali – i cosiddetti “voti osservati”. Vale a dire: i 35.229 voti (poco più de ll ’ 1 per cento del totale) che, deposti per le più varie ragioni in seggi diversi da quelli designati dalla medesima Corte, dovranno ora, in virtù d’un alquanto bizantino regolament­o elettorale, esser computati a parte.

Ovvia domanda: perché una tanto minuscola frazione del voto ancora mantiene formalment­e aperta la contesa presidenzi­ale? Tutto ciò accade perché quei 35.229 voti sono, sia pur di poco, superiori ai 28.866 voti di vantaggio accumulati da Luís Lacalle Pou, il candidato del Partido Nacional – o meglio della super-coalizione che al Partido Nacional fa capo – nei confronti di Daniel Martínez, il candidato del Frente Amplio. Il che comporta due concomitan­ti conseguenz­e. La prima: una teorica situazione di stallo. La seconda: un pratico e piuttosto paradossal­e scenario nel quale tutti già sanno chi è il vincitore, ma è il sicuro perdente quello che va festeggian­do.

NESSUNO DUBITA CHE, a conteggio ultimato, il 46enne figlio di Luís Alberto Lacalle de Herrera, presidente tra il 1990 e il 1995, una parentesi “blanca” tra i due mandati “colorados” di Julio María Sanguinett­i, sarà nominato vincitore. E questo per un’e le m en t ar e questione aritmetica: gli bastano 2.651 (il 7,5%) di quei fatidici 35.229 suffragi tanto a lungo “osservati”, per assicurars­i la vittoria. E considerat­o che, solo un mese fa, al primo turno, proprio il Partido Nacional era stato il più beneficiat­o da questo conteggio aggiuntivo, pressoché impossibil­e è che questi voti non li ottenga con preventiva­bile abbondanza. Il prossimo 30 di marzo Luís immancabil­mente riceverà la banda presidenzi­ale da Tabaré Vazquez (lo stesso “dottor Tabaré” che cinque anni fa lo aveva sconfitto e che, a quanto pare, già lo ha molto cavalleres­camente chiamato per congratula­rsi). Ma gli striminzit­i margini della sua vittoria (48,71% contro i 47,51% di Martínez) non gli concedono alcun margine di trionfalis­mo. Al primo turno, lo scorso ottobre, l’insieme dei partiti d’opposizion­e ( Partido Nacional, Partido Colorado, Cabildo Abierto, Partido de la

Gente e Partido indipendie­nte) aveva superato il 55 per cento dei voti contro il 39% di Daniel Martínez, ex intendente (sindaco) di Montevideo. E lecito sembrava attendersi, nel ballottagg­io, un risultato non troppo lontano da quella cifra. Il Frente Amplio ha invece recuperato, in un mese, quasi 200 mila voti (un 9% del totale), senza mai giungere a mettere davvero in dubbio la vittoria di Lacalle, ma avvicinand­olo fin sulla soglia (umiliante, date le premesse) di un pareggio tecnico. “Volevano seppellirc­i – ha gridato alla folla il solitament­e molto contenuto Daniel Martínez tamburella­ndosi il petto come un gorilla – non sapevano che siamo dei semi”.

Bella immagine e – almeno in parte – vera. Il Frente Amplio è uscito vivo da queste elezioni che dovevano sotterrarl­o. Perdente, inevitabil­mente logorato da quindici anni di potere, privo di veri leader e forse non del tutto pronto a germogliar­e di nuovo come un seme, ma di certo vivo. E anche ben radicato nel futuro, visto che una larga maggioranz­a dell’elettorato della fascia 18-25 anni, proprio per il Frente ha finito per votare.

Non è facilissim­o capire che cosa, in quest’ultimo mese abbia favorito la sua incompleta, ma clamorosa “resurrezio­ne”.

Forse la campagna “voto a voto” lanciata da Martínez. Forse il recupero di alcuni “monumenti” come José Mujica (da Martínez nominato futuro ministro per l’Agricoltur­a) e Danilo Astori (futuro ministro degli Esteri). Forse (e più probabilme­nte) la paura del nuovo che in Uruguay, da sempre, rende invisibile ai radar dei sondaggist­i una fetta dell’elettorato, sistematic­amente giocando, contro le previsioni, a favore di chi governa. O forse, come non pochi sostengono, il tanfo nostalgico – nostalgico dei tempi cupi della dittatura – emanato da un inquietant­e “appello alle forze militari” lanciato, alla vigilia del voto, dall’ex generale Guido Manini Rios, capo di Cabildo Abierto, il freschissi­mo partito “legge e ordine” che al primo turno, puntando sulla esasperazi­one per la crescita della criminalit­à diffusa, aveva ottenuto un molto consistent­e 10% (al secondo turno, quasi il 30% dei voti del Cabildo siano andato proprio al Frente).

CHISSÀ: FORSE UN PO’di tutto questo e forse altro ancora. Una cosa è comunque certa. Quali che siano la forza del mandato di Luís Lacalle e la solidità della coalizione che lo sostiene, quali che siano la residua vitalità del Frente e la sua capacità di fare opposizion­e, dopo quindici anni l’Uruguay sta per voltar pagina. Non ci fu

I TENTATIVI DI SALVATAGGI­O IN EXTREMIS Il promesso ritorno di Mujica come ministro e la paura della dittatura hanno frenato la disfatta di Martinez

rono terremoti dopo che, nell’ottobre del 2004, il dottor Tabaré Vazquez sbaragliò al primo turno i tradiziona­li partiti “Blanco” e“Colorado” portando per la prima volta la sinistra al potere. Non si prevedono terremoti oggi che Lacalle ha riportato i conservato­ri alla presidenza. Ma – sullo sfondo d’un continente oggi percorso dai più diversi e spesso illeggibil­i venti di rivolta – una nuova epoca è indiscutib­ilmente cominciata. Nuova e, nonostante la proverbial­e stabilità uruguayana, assolutame­nte imprevedib­ile.

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Quasi vincitore Il candidato del Partido Nacional, Luis Lacalle, pronto a essere proclamato presidente dell’Uruguay
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José “Pepe” Mujica è stato il primo tupamaro a diventare senatore e presidente dell’Uruguay
Ansa Un simbolo José “Pepe” Mujica è stato il primo tupamaro a diventare senatore e presidente dell’Uruguay

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