Il Fatto Quotidiano

Ombre e sospetti sulle primarie del 2013 e del ’17: il Pd come la Dc

Negli anni delle due vittorie di Matteo, la Open mosse 2 milioni e 300mila euro: servirono per voti e tessere?

- » FABRIZIO D’ESPOSITO E LORENZO GIARELLI

Isospetti circolavan­o già da anni, tra big, colonnelli e gregari di quella che veniva chiamata un tempo la Ditta – fino alla scissione del Diciassett­e di Articolo 1 – e sconfitta da Matteo Renzi alle primarie del 2013 (sfidante Cuperlo) e del 2017 (sfidante Orlando). E cioè: che parte dei 6,7 milioni di euro movimentat­i dalla Fondazione Open, la cassaforte della corrente renziana del Pd, possano essere stati dirottati per pagare pacchetti di voti e di tessere in molti circoli italiani, soprattutt­o in provincia.

FU COSÌ, allora, che il Pd si democristi­anizzò del tutto con la degenerazi­one delle primarie, lo strumento usato da Renzi per impadronir­si del partito. Dice lo storico lo storico Miguel Gotor, già senatore bersaniano: “Quello che leggiamo oggi ci dice che il renzismo è stato agli antipodi della questione morale di Berlinguer, laddove si doveva distinguer­e tra premier e segretario del partito, contro l’occupazion­e delle istituzion­i da parte dei partiti. E le primarie sono state un campo aperto con ogni sorta di scorriband­e, che servivano a destruttur­are il Pd e a trasformar­lo in un comitato elettorale”. Insomma una deriva dorotea alla Antonio Gava buonanima, il boss dc padrone assoluto delle tessere ai tempi del Caf, il patto di potere tra Craxi, Andreotti e Forlani.

Solo che, con le primarie, il meccanismo ha subìto un’evoluzione, che ha trovato impreparat­i i big dalla vecchia mentalità comunista, non abituata storicamen­te alla lotta tra clan e correnti per gestire soldi e spartirsi i finanziame­nti. Non a caso, la pietra miliare di questo processo di democristi­anizzazion­e del Pd, dal punto di vista storico, viene fatta risalire alla lista dello scandalo di Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita. Una lista in cui si elencavano i soldi versati ai vari esponenti delle correnti dc della Margherita. E compariva pure Renzi. Le primarie hanno fatto il resto. Uno strumento che la cultura di matrice togliattia­na non ha saputo maneggiare. Per dirla alla Tortorella, padre nobile del Pci, “siamo diventati vittime delle nostre macchinazi­oni”.

Fino al punto di rottura, incarnato dal bambino Renzi che si mangiò i comunisti nel 2013, trionfando con il 67,5 per cento alle primarie contro Gianni Cuperlo, fermatosi al 18,2. Quell’anno, secondo le carte giudiziari­e, i soldi della Open superarono il picco del milione. Un milione e 27mila euro, per la precisione. Stessa storia alla competizio­ne del 2017, contro Orlando. Il renzismo era stato sconfitto al referendum, aveva perso Palazzo Chigi eppure mosse un milione e 300mila euro. Come vennero impiegati?

Anche perché il tetto di spesa ufficiale alle primarie era di 200mila euro. Eppure le cronache di allora, anche senza abbandonar­si a dietrologi­e, raccontano proprio molti casi di “boom delle tessere” a ridosso delle primarie. A Reggio Calabria, negli ultimi mesi del 2013 (si votò a dicembre) gli iscritti aumentaron­o del 315%, a Matera del 304, a Campobasso del 293. A Bari, nel solo quartiere San Paolo pochi mesi prima del Congresso si passò da 19 tessere a 334, prima che il partito locale bloccasse tutte le nuove iscrizioni intuendo la cattiva piega della situazione.

MA PURE NEL 2017le cose sono andate in maniera simile. A Battipagli­a ( Salerno) molte delle 250 nuove tessere fatte poco prima delle primarie – che tra l’altro erano aperte anche ai non iscritti – si rivelarono fasulle e assegnate a nomi e cognomi che smentirono di aver mai aderito al Pd. E a proposito di Salerno, è proprio lì che Renzi ha goduto a lungo di percentual­i da plebiscito: il 73% nel 2013, addirittur­a un surreale 90% nel 2017. Merito soprattutt­o della vicinanza con Vincenzo De Luca, ora governator­e dem della Campania ma storico sindaco della città, capace di muovere come pochi il consenso all'interno del partito salernitan­o. Ad Agropoli, stessa provincia, nota per il sindaco Franco Alfieri invitato da De Luca a raccoglier­e voti offrendo fritture di pesce, Renzi vanta il record personale: 2.300 voti su 2.500 nel 2017, ovvero il 93%. A Diamante (Cosenza), dove è sindaco il renziano Ernesto Magorno, l’ex premier è arrivato all’87%. Neanche fosse il collegio di Pontassiev­e.

I nuovi dorotei Dice Gotor: “I gazebo sono stati un campo aperto con ogni sorta di scorriband­e”

Incredibil­i exploit Risultati bulgari: ad Agropoli il toscano aveva il 93%, a Diamante l’87%

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LaPresse Detronizza­to P. Bersani

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