Ma il piano spazzatura della Regione Lazio manca da quasi 8 anni
Dietro la crisi della monnezza c’è l’inerzia della Giunta del leader dem
Il piano regionale dei rifiuti del Lazio ancora non c’è. E forse non ci sarà fino a marzo. Ma serve una discarica, perché quelle esistenti sono tutte in esaurimento. Il tema è lo smaltimento (fase 3), non il trattamento (fase 2) per il quale il Lazio nei numeri è autosufficiente, nonostante molte città, Roma compresa, si rivolgano all’estero. La Regione Lazio tenta così di sopperire a un suo stesso ritardo, emanando un’o r d inanza che obbliga Roma Capitale a trovare “uno o più siti” sul suo territorio in grado di sopperire alla chiusura della discarica di Colleferro – gestita da una società regionale – nonostante la stessa abbia spazio per almeno un altro anno. Aree “temporanee”, individuate “in deroga” alle autorizzazioni ambientali.
NEL LAZIO manca uno strumento di programmazione, assente dal 2012, ed è questa la causa principale dell’emergenza rifiuti romana, punta dell’iceberg di una crisi omogenea in tutta la regione. Lo certifica l’Unione europea, che la scorsa settimana ha bacchettato l’Ente guidato da Nicola Zingaretti. Lo dimostrano anche i numeri prodotti dalla stessa giunta regionale, nella proposta di piano approvata ad agosto, da dove si evince che anche Latina, Frosinone, Rieti e l’ex provincia di Roma (città esclusa) hanno gli stessi problemi: tutti inadempienti? Partiamo dallo smaltimento. I dati Ispra sono quelli del 2017. Nel Lazio vengono prodotte 2,9 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, il 54,5% di indifferenziato, circa 1,6 milioni di tonnellate. Effettuata la raccolta (fase 1), i rifiuti finiscono dei tmb (impianti di trattamento meccanico-biologico) che li separa e produce “css” e “cdr” da bruciare e “fos” – gli scarti degli scarti – da portare in discarica. Quanta fos produce il Lazio? Nel 2017 “appena” 335 mila tonnellate. E quanto spazio c’è rimasto nelle discariche laziali? Dal 2012, anno dell’ultimo piano rifiuti, hanno chiuso tre discariche fra Roma e provincia: Malagrotta, Bracciano e Guidonia, e una a Borgo Montello (Latina). Un’altra, Albano Laziale (Roma), è ferma. Ad oggi sono rimaste attive Civitavecchia e Colleferro (Roma), Roccasecca (Frosinone) e Viterbo, per una volumetria residua totale di circa 500 mila metri cubi, pari a circa
600 mila tonnellate. Il calcolo è presto fatto: 2 anni di conferimenti. Metà dello spazio disponibile (254 mila mc) si trova a Colleferro, nella discarica gestita dalla società regionale Lazio Ambiente, che il 31 dicembre riconsegnerà le chiavi nonostante l’autorizzazione scada nel 2022, in virtù di un accordo politico fra Zingaretti e il sindaco Pierluigi Sanna a tutela della Valle del Sacco.
IL PROBLEMAè quello iniziale: non c’è il piano rifiuti, che è lo strumento che serve a programmare grandezza, durata e caratteristiche degli impianti. Anche delle discariche. Serve per non derogare alle norme ambientali o aprire buche a caso. E chi li deve proporre questi impianti? Nicola Zingaretti e Virginia Raggi stanno litigando da due anni su questo punto. Il d.lgs 152/2006, art. 197, prevede che Province e Città metropolitane inviino alle Regioni le mappe con le aree idonee e non idonee, e su questo la Città metropolitana di Roma ( guidata sempre da Raggi) ha ottemperato, come si evince dalla delibera regionale. È vero che l’ex Provincia non ha prodotto “la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture”, come prevede art. 20 del d. lgs 267/ 2000 richiamato nella precedente norma: ma si tratta di una prassi, non di un obbligo, come dimostra il fatto che le mappe siano state acquisite nel piano approvato dalla giunta Zingaretti; al massimo una mancanza che rischia di favorire gli operatori privati. A meno che l’emergenza creata dalla chiusura anticipata di un sito ancora capiente, non costringa Roma a scegliere una nuova discarica basandosi su strumenti normativi risalenti al 2012. Una volta approvato il piano, gli operatori, con preferenza per quelli pubblici, potranno proporre la realizzazione delle discariche, e sarà la Regione ad autorizzarle. O di impianti alternativi, come il separatore proposto da Lazio Ambiente per Colleferro, ma ancora fermo al palo.
LA CITTÀ di Roma non ha responsabilità? Tutt’altro. In primis , il fallimento, fin qui, della raccolta differenziata, cresciuta di appena tre punti percentuali in 3 anni. Raggi si era presentata, a inizio 2017, puntando a raggiungere il 70% entro il 2021, mentre a oggi è ferma al 45%, in alcuni municipi poco sopra il 30%. I cambi al vertice di Ama hanno bloccato il piano industriale, atteso da due anni, e con essi i nuovi impianti per trattare l’organico. Tutto ciò non autorizza gli altri comuni a puntare il dito sulla Capitale: Roma è poco sotto la media provinciale (43,22 contro 45, dati 2017) e, Viterbo a parte, sopra agli altri capoluoghi di provincia, con Frosinone al 15%.
Soltanto +3%
Il Comune ha responsabilità nella raccolta, cioè nel mancato incremento di differenziata