Tahar Ben Jelloun, il militante pacifista innamorato dell’Italia
Auguri
a Tahar Ben Jelloun per i suoi 75 anni (che compie insieme a Daniel Pennac, nato come lui in Marocco nel 1944). La ricorrenza consente di ragionare sulla fortuna dentro i nostri confini della letteratura francese contemporanea. Taluni autori d’Oltralpe beneficiano di un vero e proprio culto. Pensiamo almeno a tre nomi che infiammano i lettori più militanti: Houellebecq, Carrère, Ernaux. Ben Jelloun sembra scontare una ricezione più defilata. Eppure è l’autore più legato alla realtà italiana. Non solo per la sua costante presenza in libreria da più di trent’anni (dopo Einaudi e Bompiani ora è La nave di Teseo a pubblicare titoli vecchi e nuovi). Non solo per la vasta pubblicistica sulla nostra stampa ( non si contano i suoi interventi sull’attualità, non ultimi i suoi strali contro le politiche migratorie di Trump e Salvini). Non solo per le sue numerose partecipazioni, oltre che a festival e conferenze, ai talk politici della nostra tv (i Democratici di Sinistra guidati allora da Veltroni lo candidarono alle Europee del 1999). Ma soprattutto perché, in mezzo alla sua nutrita bibliografia, fanno capolino due romanzi ambientati a Napoli ( L’albergo dei poveri e Il labirinto dei sentimenti).
L’AUTORE ha affermato che la città gli ricorda la sua terra natale: “La sua confusione straripante, la sua corruzione, i suoi problemi sociali, tutto mi riporta al Marocco” Se poi aggiungiamo la manifesta passione di Ben Jelloun per la filmografia di Sergio Leone, ecco che abbiamo il ritratto di un francofono innamorato del Belpaese.
L’autore premio Goncourt 1987 con Notte fatale – in un tempo do
ve la figura dell’intellettuale engagé è consegnata agli archivi – ha il merito di avere rinnovato l ’ e t i c a de ll’impegno. Ben Jelloun è tra i pochissimi intellettuali arabi capaci di raccontare l’Islam senza subire processi sommari di parzialità o di connivenza (nei suoi scritti, con puntiglio filologico, ha dimostrato più volte che il male è l’islamismo, deviazione strumentale a uso del terrorismo, e non l’Islam in quanto tale). Così come è altrettanto autorevole e incisivo nel denunciare il pericolo dell’intolleranza. Resta celebre il suo Il raz
zismo spiegato a mia figlia dove ribadisce che non esistono religioni che inneggino al pregiudizio o alla discriminazione.
La sua biografia è tutta nel segno di una indefessa militanza contro violenze e oppressioni (in La pu
nizione ha raccontato della sua reclusione in un campo disciplinare dell’esercito marocchino a metà degli anni 60).
HA SCRITTO decine di reportage, una volta stabilitosi in Francia, per indagare la realtà degli immigrati maghrebini nelle periferie (è stato la firma più autorevole e prolifica su
Le Monde). Non c’è sua opera che non contempli tra i suoi protagonisti gli esclusi e gli emarginati della società. Una sensibilità tanto acuta per la libertà dell’uomo che vale la pena menzionare la sua dichiarazione di poetica: “La letteratura non può cambiare il mondo, ma il silenzio è un’intollerabile complicità”.
Come il Marocco
Due suoi romanzi sono ambientati a Napoli: “Stessa confusione e corruzione”