Google & C. eludono il fisco? Vanno solo ringraziate
Tutti dovremmo ringraziare i giganti del web, di cui ieri abbiamo letto che riescono a nascondere 50 miliardi di profitti l’anno nei paradisi fiscali e, nella piccola Italia, a pagare solo 60 milioni di tasse (e si parla solo dei profitti, perché c’è pure chi riesce a eludere miliardi di Iva intermediando servizi fisici). Grazie a questo enorme spostamento di ricchezza, poi, Google, Microsoft, etc. sono strapiene di liquidità, che investono con larghezza in prodotti finanziari tipo titoli di Stato o azioni. Risultato: ormai pesano quanto banche e fondi d’investimento e, quindi, quando si di ceche“I Mercati” vogliono questo o quello si può pensare pure al filantropo Bill Gates. Ora, le multinazionali del web fanno quello che hanno sempre fatto le multinazionali – pagare meno tasse possibile grazie a legislazioni di favore - ma portano questa pratica all’eccesso: la manifattura deve avere sedi fisiche, reti di vendita, dipendenti e dunque rapporti coi territori; le “websoft” sono ovunque e in nessun luogo. E bisogna ringraziarle, perché il paradosso di una ricchezza che si ritiene apolide (e come tale soggetta al fisco di nessun Paese, se non quello che gli fa il prezzo migliore) svela la contraddizione di fondo di un mondo coi soldi senza passaporto: senza controlli sui capitali, non ci sono politica o istituzioni funzionanti, non c’è democrazia costituzionale, non c’è “fondata sul lavoro”, né “rimuove gli ostacoli” e le altre belle cose di cui si riempie la bocca anche chi non capisce che in guerra, anche quella per i diritti di cittadinanza, ci si va armati.