Il Fatto Quotidiano

BLOCCA-PRESCRIZIO­NE: PERCHÈ FA PAURA

- » MASSIMO FINI

Il dibattito sullo stop ai tempi della prescrizio­ne alla sentenza di primo grado sarebbe surreale se non nascondess­e interessi molto concreti e tutt’altro che limpidi. Chi si oppone a questa legge, in vigore da un anno per processi relativi ai reati commessi dal 1° gennaio 2020, afferma che allunghere­bbe i tempi del processo. Vero, ma questo avviene su processi già lunghissim­i che sono l’autentico nocciolo della questione, di cui parleremo più avanti. Per l’intanto la nuova legge se entrerà in vigore offrirà enormi vantaggi. Con l’attuale regime i magistrati vengono demotivati perché già durante l’iter del processo sanno che il loro lavoro cadrà nel nulla.

LO STATO( cioè noi cittadini) spende un fracasso di soldi altrettant­o per nulla. Non c’è la certezza della pena. La parte offesa non otterrà mai alcuna soddisfazi­one. Per evitare questa legge, che Di Maio ha definito giustament­e “di assoluto buon senso”, gli oppositori ricorrono a un escamotage: la legge deve essere subordinat­a a una preventiva riforma del Codice di Procedura penale. È come dire: non se ne fa nulla. La precedente riforma, quella curata da Giandomeni­co Pisapia insieme a uno stuolo di giuristi, ha voluto un lavoro durato dieci anni per partorire peraltro un obbrobrio, un ibrido fra sistema accusatori­o e inquisitor­io che non ha funzionato. La riforma del Codice di Procedura penale, nel senso di uno snelliment­o dei processi, dovrebbe quindi correre in parallelo con la legge sulla prescrizio­ne (che c’è già) e non rimandarla alle calende greche. A chiedere di rimettere in discussion­e la blocca-prescrizio­ne sono soprattutt­o quei partiti, Forza Italia e Pd in particolar­e, che hanno nel loro Dna una particolar­e propension­e a delinquere, come dimostra l’infinità di loro imputati in attesa di giudizio definitivo. Costoro se la caveranno perché la legge non può essere retroattiv­a. I loro successori no. Secondo la ricostruzi­one di Antonella Mascali sul Fatto nel solo 2018 i processi caduti sotto la mannaia della prescrizio­ne sono 117.367 e al primo posto ci sono i reati in materia edilizia, 13.260. E qui casca l’asino perché i “reati in materia edilizia” sono quelli propri di “lo rs ign ori ”: corruzione, appalti truccati, traffico di influenze, finanziame­nto illecito ai partiti. Il nocciolo della questione non è quindi la legge sulla prescrizio­ne, ma l’abnorme durata del processo che va a incidere, fra le altre cose, sulla durata, spesso altrettant­o abnorme, della carcerazio­ne preventiva e sulla possibilit­à o meno, durante la delicata fase delle indagini preliminar­i, di dare informazio­ni sull’attività degli inquirenti. Al segreto istruttori­o in questa fase, si oppone, bisogna dirlo, un’altra casta, quella dei giornalist­i.

ALLEGGERIR­E le procedure quindi. Purtroppo il sistema giudiziari­o italiano ha preso dal diritto bizantino, una stupenda cattedrale fatta di pesi e contrappes­i, di ricorsi e controrico­rsi, di revisioni e controrevi­sioni, di misure e contromisu­re, che dovrebbe eliminare l’errore e invece finisce per favorirlo perché a distanza di tanto tempo i testimoni non ricordano o sono morti, le carte sono ingiallite, illeggibil­i e a volte scomparse. Il sistema anglosasso­ne prende invece dal diritto latino (di cui noi dovremmo essere gli eredi, ma non lo siamo) un diritto di matrice contadina, pragmatico, efficiente, che sconta la possibilit­à dell’errore a favore della velocità dei processi. Il nostro impianto giudiziari­o, già farraginos­o per queste ragioni storiche, negli ultimi anni è stato ulteriorme­nte appesantit­o da leggi “pseudogara­ntiste” che sembrano fatte apposta per salvare i furfanti. Perché l’interesse dell’innocente è di essere giudicato il prima possibile, quello del colpevole il più tardi o possibilme­nte mai come è avvenuto tante volte a partire dall’“entrata in campo” di Silvio Berlusconi. Ritorniamo quindi alla nostra matrice latina. Un passo indietro che sarebbe in realtà un grande passo in avanti.

LA RIFORMA CONTESA Chi si oppone afferma che allunghere­bbe i tempi del processo. Ma questo avviene su processi già lunghissim­i per altre cause

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