Il Fatto Quotidiano

Autonomia, ora la legge quadro Intese modificabi­li alle Camere

Passata all’unanimità in Conferenza Stato-Regioni, un pezzo di maggioranz­a vuole “rallentare il testo”: mercoledì un vertice dei giallorosa

- » MARCO PALOMBI

Finora aveva navigato sottotracc­ia, ora che la “legge quadro” s u ll e autonomie regionali è emersa in Conferenza Stato- Regioni, dove è passata a ll ’ unanimità, non poteva mancare qualche ostacolo: il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia vorrebbe portare quel breve testo di 3 articoli in Consiglio dei ministri lunedì e poi presentarl­o come emendament­o al ddl Bilancio per “blindarne” l’approvazio­ne entro fine anno e iniziare il percorso per le intese con le regioni a gennaio.

INSOMMA, da ieri sono arrivate le prime voci contrarie, nessuna di particolar­e peso, anche se il grillino Luigi Gallo passa per essere la voce pubblica di Roberto Fico sulle materie su cui il presidente della Camera non vuole esporsi: “La proposta non è condivisa col Parlamento, Boccia si fermi su questa assurda proposta di inserirlo in legge di bilancio”, è la posizione di Gallo e pure quella del renziano Davide Faraone (“il tema non potrà essere affrontato nel Bilancio”). In realtà il percorso interno alla manovra non è una conditio sine qua non, ma comunque nella Nota di aggiorname­nto del Def di settembre la “legge quadro” è annunciata come “collegato alla manovra”.

Il lettore forse si porrà una domanda: di cosa stiamo parlando? Bisogna partire dall’inizio. La (pessima) riforma del Titolo V della Costituzio­ne, voluta dal centrosini­stra nel 2001, introdusse l’autonomia differenzi­ata tra le regioni su alcune materie (massimo 23), ma senza indicare un percorso per ottenerla: dopo le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna nel 2017 l’allora governo Gentiloni firmò un (pessimo) pre-accordo con le tre regioni ribattezza­to “secessione dei ricchi”, ma di nuovo senza sciogliere il nodo del percorso; la (pessima) strada per farlo scelta dal governo Conte 1 fu di considerar­e le intese finali identiche a quelle tra lo Stato e le religioni. In sostanza, il Parlamento poteva approvarle o respingerl­e in blocco, ma non modificarl­e.

Questa “legge quadro” tenta appunto, sorprenden­temente con l’accordo delle Regioni, di formalizza­re un percorso valido per chiunque chieda autonomia che preveda un ruolo centrale del Parlamento: “Le intese andranno alle Camere con legge ordinaria e saranno emendabili - dice al Fatto il ministro Boccia - Certo, le modifiche dovranno essere poi accettate dalle Regioni, che potranno però non controfirm­are il testo”.

Nella “legge quadro” la procedura prevede l’intervento delle commission­i competenti (entro 60 giorni) su uno schema di pre-intesa con la singola regione che chieda più poteri, poi l’eventuale firma e a quel punto, entro 30 giorni, “la presentazi­one alle Camere del ddl di approvazio­ne dell’intesa”.

Un passo avanti, rispetto all’impostazio­ne “gialloverd­e”, che riguarda anche l’hardware del percorso verso l’autonomia. “Secondo l’articolo 3 della Carta, compito dello Stato - dice Boccia - è rimuovere le diseguagli­anze: la sfida qui è avere uno Stato più snello ma anche più forte e per esserlo serve una visione solidale sugli investimen­ti pubblici”.

A QUESTO FINE la legge quadro istituisce un “fondo perequativ­o” da 300 milioni l’anno a regime (3,3 miliardi fino al 2034) vincolato agli investimen­ti nelle aree con deficit infrastrut­turale: il Sud, certo, ma anche ad esempio la zona di Rovigo e, più in generale, le aree interne e montane, quelle in via di spopolamen­to e in cui gli investimen­ti privati arrivano con difficoltà (a questo obiettivo saranno vincolate pure le partecipat­e dello Stato).

Il tema più scivoloso della legge quadro riguarda i temi su cui ci sono i soldi: come previsto dalla Carta, prima di devolverli vanno comunque fissati i “Livelli essenziali delle prestazion­i”( Lep) su assistenza, trasporto pubblico e norme generali sull’istruzione (quelli in materia di salute esistono già). Il ddl assegna a un’apposita task forceguida­ta dalla Ragioneria generale il compito di stilarli entro un anno: “È un tempo ragionevol­e - dice Boccia - perché i dati ci sono già. Comunque se si dovrà aspettare un po’, aspetterem­o. Per ora non devolverem­o le materie Lep, ma tanta competenza amministra­tiva” (a titolo di esempio: rifiuti; discariche; eccetera). Se la fiducia del ministro nella velocità di elaborazio­ne dei Lep sarà malriposta, però, tornerà in campo come criterio di devoluzion­e la l’assai criticata “spesa storica”. Se non altro, però, le intese con le regioni non saranno più eterne, come prima, ma valide al massimo per dieci anni.

Per la discussion­e di merito, comunque, c’è tempo: ora è il tempo del posizionam­ento politico. Mercoledì ci sarà un vertice di maggioranz­a sul tema convocato dal ministro grillino Federico D’Incà, che ha seguito e condiviso tutta la pratica fin da settembre.

Fondi non solo al Sud Ci sarà anche un fondo perequativ­o da 3,3 mld vincolato alle aree con deficit infrastrut­turale

Gli accordi andranno alle Camere con legge ordinaria e saranno emendabili: certo le Regioni potranno non contro– firmare FRANCESCO BOCCIA

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I governator­i Zaia e Fontana volevano fare il colpaccio nell’era gialloverd­e
Ansa Sponsor leghisti I governator­i Zaia e Fontana volevano fare il colpaccio nell’era gialloverd­e
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