Autonomia, ora la legge quadro Intese modificabili alle Camere
Passata all’unanimità in Conferenza Stato-Regioni, un pezzo di maggioranza vuole “rallentare il testo”: mercoledì un vertice dei giallorosa
Finora aveva navigato sottotraccia, ora che la “legge quadro” s u ll e autonomie regionali è emersa in Conferenza Stato- Regioni, dove è passata a ll ’ unanimità, non poteva mancare qualche ostacolo: il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia vorrebbe portare quel breve testo di 3 articoli in Consiglio dei ministri lunedì e poi presentarlo come emendamento al ddl Bilancio per “blindarne” l’approvazione entro fine anno e iniziare il percorso per le intese con le regioni a gennaio.
INSOMMA, da ieri sono arrivate le prime voci contrarie, nessuna di particolare peso, anche se il grillino Luigi Gallo passa per essere la voce pubblica di Roberto Fico sulle materie su cui il presidente della Camera non vuole esporsi: “La proposta non è condivisa col Parlamento, Boccia si fermi su questa assurda proposta di inserirlo in legge di bilancio”, è la posizione di Gallo e pure quella del renziano Davide Faraone (“il tema non potrà essere affrontato nel Bilancio”). In realtà il percorso interno alla manovra non è una conditio sine qua non, ma comunque nella Nota di aggiornamento del Def di settembre la “legge quadro” è annunciata come “collegato alla manovra”.
Il lettore forse si porrà una domanda: di cosa stiamo parlando? Bisogna partire dall’inizio. La (pessima) riforma del Titolo V della Costituzione, voluta dal centrosinistra nel 2001, introdusse l’autonomia differenziata tra le regioni su alcune materie (massimo 23), ma senza indicare un percorso per ottenerla: dopo le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna nel 2017 l’allora governo Gentiloni firmò un (pessimo) pre-accordo con le tre regioni ribattezzato “secessione dei ricchi”, ma di nuovo senza sciogliere il nodo del percorso; la (pessima) strada per farlo scelta dal governo Conte 1 fu di considerare le intese finali identiche a quelle tra lo Stato e le religioni. In sostanza, il Parlamento poteva approvarle o respingerle in blocco, ma non modificarle.
Questa “legge quadro” tenta appunto, sorprendentemente con l’accordo delle Regioni, di formalizzare un percorso valido per chiunque chieda autonomia che preveda un ruolo centrale del Parlamento: “Le intese andranno alle Camere con legge ordinaria e saranno emendabili - dice al Fatto il ministro Boccia - Certo, le modifiche dovranno essere poi accettate dalle Regioni, che potranno però non controfirmare il testo”.
Nella “legge quadro” la procedura prevede l’intervento delle commissioni competenti (entro 60 giorni) su uno schema di pre-intesa con la singola regione che chieda più poteri, poi l’eventuale firma e a quel punto, entro 30 giorni, “la presentazione alle Camere del ddl di approvazione dell’intesa”.
Un passo avanti, rispetto all’impostazione “gialloverde”, che riguarda anche l’hardware del percorso verso l’autonomia. “Secondo l’articolo 3 della Carta, compito dello Stato - dice Boccia - è rimuovere le diseguaglianze: la sfida qui è avere uno Stato più snello ma anche più forte e per esserlo serve una visione solidale sugli investimenti pubblici”.
A QUESTO FINE la legge quadro istituisce un “fondo perequativo” da 300 milioni l’anno a regime (3,3 miliardi fino al 2034) vincolato agli investimenti nelle aree con deficit infrastrutturale: il Sud, certo, ma anche ad esempio la zona di Rovigo e, più in generale, le aree interne e montane, quelle in via di spopolamento e in cui gli investimenti privati arrivano con difficoltà (a questo obiettivo saranno vincolate pure le partecipate dello Stato).
Il tema più scivoloso della legge quadro riguarda i temi su cui ci sono i soldi: come previsto dalla Carta, prima di devolverli vanno comunque fissati i “Livelli essenziali delle prestazioni”( Lep) su assistenza, trasporto pubblico e norme generali sull’istruzione (quelli in materia di salute esistono già). Il ddl assegna a un’apposita task forceguidata dalla Ragioneria generale il compito di stilarli entro un anno: “È un tempo ragionevole - dice Boccia - perché i dati ci sono già. Comunque se si dovrà aspettare un po’, aspetteremo. Per ora non devolveremo le materie Lep, ma tanta competenza amministrativa” (a titolo di esempio: rifiuti; discariche; eccetera). Se la fiducia del ministro nella velocità di elaborazione dei Lep sarà malriposta, però, tornerà in campo come criterio di devoluzione la l’assai criticata “spesa storica”. Se non altro, però, le intese con le regioni non saranno più eterne, come prima, ma valide al massimo per dieci anni.
Per la discussione di merito, comunque, c’è tempo: ora è il tempo del posizionamento politico. Mercoledì ci sarà un vertice di maggioranza sul tema convocato dal ministro grillino Federico D’Incà, che ha seguito e condiviso tutta la pratica fin da settembre.
Fondi non solo al Sud Ci sarà anche un fondo perequativo da 3,3 mld vincolato alle aree con deficit infrastrutturale
Gli accordi andranno alle Camere con legge ordinaria e saranno emendabili: certo le Regioni potranno non contro– firmare FRANCESCO BOCCIA