Dopo l’autogol del Tesoro corsa per salvare Pop Bari
La norma sui crediti fiscali mai notificata a Bruxelles Chiesto l’intervento del fondo bancario. Poi nuovi capitali (statali)
La via crucis bancaria italiana riparte da Bari. La corsa al salvataggio della Popolare, il più grande istituto di credito del Sud, è iniziata ieri - secondo quanto filtra dal Tesoro - con la richiesta di intervento al Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), già impegnato nel soccorso a Carige. Giovedì il piano è stato al centro di una riunione al ministero dell’Economia con uomini della banca, del Fitd, del Mediocredito centrale (Mcc) - l’istituto controllato dal Tesoro tramite Invitalia - e della
Banca d’Italia.
L’ACCE LERA ZIO
NE si è resa necessaria dopo il fallimento della strategia pensata dal Tesoro. La popolare di Bari doveva essere la prima beneficiaria della norma (art. 44) contenuta nel decreto Crescita di aprile scorso. Prevedeva la possibilità per le imprese del Sud che si fondono tra loro di trasformare le imposte differite (Dta) in crediti di imposta, fino a un massimo di 500 milioni. Per le banche è una manna, perché i crediti valgono ai fini del patrimonio di vigilanza. Per evitare lo stop europeo per aiuti di Stato la norma prevede il pagamento di un canone all’erario. Problema: senza l’ok di Bruxelles non poteva diventare operativa, e il via libera non è mai arrivato. Fonti vicine alla popolare raccontato che il Tesoro non l’avrebbe mai notificata a Bruxelles, temendo di vedersela bocciare. Uno stallo durato sette mesi, in cui via XX Settembre ha persino pensato di utilizzare una procedura particolare, prevista da un regolamento Ue del 2014 (la cosiddetta “Gber”), che permette di derogare all’obbligo di notifica a Bruxelles. Peccato però che non sia applicabile al comparto bancario. Nessuna banca si è fatta avanti per il matrimonio ed è scattata l’accelerazione.
La popolare di Bari, 350 sportelli e 3mila dipendenti non se la passa bene. Al vertice è tornato Vincenzo De Bustis, che la guidò dal 2011 al 2015, anni in cui l’istituto - caldamente invitato da Bankitalia - si caricò la disastrata Tercas che ne ha appesantito i conti. Il 2018 si è chiuso con un “rosso” di 400 milioni e i crediti deteriorati ammontano al 15% degli impieghi. Il rapporto tra costi e ricavi è al 108%. Un problema che coinvolge i 70 mila soci, che hanno in mano un titolo che valeva 9,5 euro e oggi viene negoziato a 2,6 euro. Secondo rumors finanziari, Pop Bari ha bisogno di un’iniezione di capitali freschi tra gli 800 milioni e il miliardo.
STANDO ai documenti circolati, le tappe del piano, una cinquantina, sono davvero strettissime tra loro. Il primo passo era previsto per ieri, con la richiesta al Fitd - a cui aderiscono tutte le banche italiane - di sottoscrivere un bond (At1) da 120 milioni, che sarà poi convertito in azioni come successo a Carige. Tutto si dovrebbe chiudere il 20 dicembre. Sempre ieri è partita una seconda operazione che dove portare Mediocredito ad acquistare 800 milioni di crediti formalmente “in bonis”, ma verosimilmente destinati a non essere più tali nel breve. Il tutto si dovrebbe chiudere entro il 31 dicembre. In questo modo si libererebbe capitale per 50 milioni. In totale: 170 milioni freschi che dovrebbero permettere di scavallare Natale e poi provvedere alla vera e propria ricapitalizzazione, che coinvolgerà sempre Mcc e altre compagini pubbliche come Amco, la società del Tesoro che gestisce i crediti deteriorati. Quest’ultima dovrebbe rilevare un portafoglio di prestiti ormai in sofferenza di quasi 1 miliardo, mentre Mediocredito parteciperà all’aumento di capitale con una quota rilevante (“oltre il 10% del fondi propri”). Per farlo, il Tesoro farà approvare una norma ad
Sette mesi di stallo Fallita la strategia del ministero, ora parte il salvataggio a tappe forzate
hoc e provvederà a ricapitalizzare l’istituto.
Il 18 dicembre il Cda di Pop Bari approverà la ricapitalizzazione e la trasformazione in Spa ( prevista dalla riforma Renzi del 2015). Il tutto si dovrebbe chiudere con l’ok dell’assemblea degli azionisti l’11 maggio prossimo. Nel piano sono previsti anche “meccanismi di ristoro per i soci”.
Vasto programma da chiudere in pochi mesi, dopo i 7 persi al solito dal Tesoro nel dialogo con Bruxelles.