Il cuore del Jobs Act finisce davanti alla Consulta
Discriminazione sui contratti collettivi, i giudici inviano il caso anche alla corte Ue
Èil cuore della riforma del lavoro voluta e sostenuta dal governo Renzi, la cui iniquità ha generato - giustamente - una contestazione costante: il Jobs Act sarà portato sia di fronte alla Corte costituzionale, sia di fronte alla Corte di Giustizia dell’Ue per le regole sui licenziamenti collettivi. Secondo la Corte d’Appello di Napoli, il sistema discrimina gli assunti dopo il 7 marzo 2015, data di approvazione della legge.
LO SPARTIACQUE ha determinato un paradosso ormai noto: nell’ambito della riduzione di personale, infatti, il licenziato che era in azienda prima che entrasse in vigore la norma può rivolgersi ai magistrati per chiedere di essere reintegrato; chi è arrivato dopo, invece, può al massimo ottenere un indennizzo economico. Il caso che ha portato i giudici di Napoli a interpellare la Consulta e la Corte Ue riguarda una impiegata che lavorava per una ditta che si occupa di ambiente. Nel 2016 l’appalto viene vinto da un’altra azienda, la Balga Srl, e la donna passa alle dipendenze di quest’ultima in virtù della “clausola sociale”. Pur avendo un’anzianità più lunga, risulta però formalmente entrata in servizio solo tre anni fa, con il Jobs Act. Nel 2018 la Balga sforbicia, licenzia lei e altri otto addetti. Questi fanno ricorso sui criteri di scelta. Nel processo emerge però che se i licenziamenti fossero dichiarati illegittimi, per gli otto colleghi - assunti prima della riforma renziana - sarebbe disposto il reintegro, per la donna solo un indennizzo: “Quattro mensilità–spiega l’avvocato Arcangelo Zampella – e niente reintegrazione. È discriminatorio”. La Corte napoletana concorda: per i giudici, il Jobs Act ha generato una disparità ingiusta alla luce della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. “Sarà un gioco di specchi – dice Lorenzo Fassina, responsabile dell’ufficio giuridico Cgil – per cui servirà un dialogo ufficioso tra le corti”. I nostri giudici costituzionali potrebbero aspettare la pronuncia di quelli europei. Alla Corte di Giustizia, tra l’altro, pende già un ricorso per una vicenda simile accaduta a Milano.
LA CONSULTA invece, si è espressa nel 2018 solo sulla cancellazione dell’articolo 18 sui licenziamenti individuali. In quell’occasione, ha detto che sostituire il diritto al reintegro con un indennizzo economico non è di per sé incostituzionale. Quel risarcimento, però, non può essere ancorato solo all’anzianità del licenziato – come faceva il Jobs Act – ma deve considerare altri fattori. Sempre la Consulta non ha ritenuto ci fosse discriminazione per il diverso trattamento riservato agli assunti dopo il 2015. “Il fluire del tempo – si legge sulla sentenza – può costituire un valido elemento di diversificazione”. Per i licenziamenti individuali. Ora però dovrà valutare i collettivi.