Strage quotidiana dei pedoni: blackout mediatico
“La città, in quanto formazione sociale fra le più significative, rientra certamente nell’ambito dei beni comuni”. (da “Elogio della città?” di Giovanni Maria Flick – Paoline Editoriale libri - pag. 17)
Li chiamiamo “passaggi pedonali”, ma forse bisognerebbe parlare di “trapassi pedonali”. Se oltre seicento cittadini muoiono ogni anno in Italia sulle “strisce”, mentre tentano a loro rischio e pericolo di attraversare la strada, questo è innanzitutto un problema di pubblica sicurezza e di educazione civica. E spetta risolverlo, nell’ordine, al Parlamento con una legge che preveda pene molto più severe; ai ministri dell’Interno, anche a quelli che non vanno o vanno poco in ufficio; ai sindaci che non dispongono i controlli necessari e non ordinano di riverniciare regolarmente le “zebre”; e infine ai Vigili urbani che non sempre fanno rispettare i limiti di velocità e il diritto di precedenza dei pedoni.
Ma questa strage continua è anche un problema di comunicazione e di cultura. Di convivenza e di civiltà. Una questione sociale che interpella il sistema mediatico, i giornali, le televisioni e specialmente il servizio pubblico, a cui tocca il compito pedagogico di richiamare l’attenzione sul rispetto delle regole e della vita altrui. Non c’è bisogno di andare a Londra, o in qualche altra grande Capitale del nord Europa, per rendersi conto delle differenze di comportamento rispetto a Roma e a tante altre città italiane: nella “sfavillante” Lisbona di Fernando Pessoa chiunque può constatare che la precedenza dei pedoni è un diritto generalmente riconosciuto e rigorosamente applicato.
SEICENTO VITTIME all’anno, sacrificate nella giungla urbana sull’altare del traffico convulso e frenetico, sono un costo troppo alto da sopportare in una società moderna. E per un cittadino che viene investito sulle “strisce”, chissà quanti rischiano la pelle ogni giorno sui passaggi pedonali, sfiorati da auto, moto e motorini impazziti. È più che giusto e necessario, ovviamente, denunciare e perseguire i cento femminicidi all’anno consumati a danno delle donne; ma qui stiamo parlando di un massacro quotidiano che purtroppo è sei volte più grande, senza distinzioni di sesso e di età.
Di fronte a una tale emergenza, è opportuno chiedersi – come fa nel libro citato all’inizio Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia del governo Prodi I ed ex presidente della Corte costituzionale – se oggi sia ancora legittimo fare “l’elogio della città”, piuttosto che interrogarsi sulla possibilità di passare “dal luogo delle paure alla comunità della gioia”. E in effetti, anche la strage dei pedoni rientra in una riflessione più ampia sulla riorganizzazione della vita collettiva all’insegna della sostenibilità ecologica. Nel suo famoso saggio intitolato Il feticcio urbano, già nel ’68 il sociologo tedesco Alexander Mitscherlich spiegava come l’ambiente possa determinare e condizionare i comportamenti dei cittadini: per cui un contesto degradato tende a favorire l’indisciplina, l’emarginazione, il disagio sociale o addirittura la criminalità.
È proprio in forza della Costituzione, e in particolare degli articoli 2 e 9, che la città va considerata invece un “bene comune”: il primo articolo riguarda il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; il secondo attiene alla “tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione”. I pedoni, al pari di tutti gli altri cittadini, sono garantiti da questi due principi costituzionali. E la loro sicurezza e incolumità corrispondono, appunto, a diritti inviolabili: soprattutto sui passaggi pedonali.