I De Benedetti jr vendono Repubblica a John Elkann
In serata la conferma ufficiale: alla Exor degli Agnelli la quota di controllo della Gedi (25 testate e le radio, più redditizie), seguirà l’uscita dalla Borsa
Nel giornale simbolo, Repubblica, non vogliono crederci. Quando il sito Dagospia lancia un flash nel tardo pomeriggio la reazione è incredulità e rabbia: “Ieri i fratelli De Benedetti hanno deciso di vendere la Gedi ( Repub blica, Stampa , Espre sso, etc.) a John Elkann, attuale azionista al 5,9%”.
INCREDULITÀ e rabbia, si diceva, perché il presidente del gruppo editoriale Gedi Marco De Benedetti e l’amministratore delegato Laura Cioli solo mercoledì - in una riunione in redazione col sindacato interno e il direttore Carlo Verdelli - avevano negato qualunque ipotesi di vendita. A quel punto dal giornale chiedono alla società di smentire in fretta la notizia di Dagospia. Passano diverse ore e, alla fine, arriva invece il comunicato “su richiesta della Consob” che conferma tutto: “Sono in corso discussioni concernenti un possibile riassetto dell’azionariato di Gedi”. Il consiglio d’amministrazione di Cir (la società dei fratelli De Benedetti) è convocato questo lunedì “per l’esame di tale possibile operazione”.
In realtà la trattativa è praticamente chiusa: Exor NV (la finanziaria olandese che è la cassaforte della famiglia Agnelli) acquisirà il pacchetto di maggioranza del gruppo editoriale da Cir, oggi al 43,7% (che comunque manterrà una quota nella società). L’idea di Elkann, a quel punto, è effettuare il “delisting” del titolo, cioè l’uscita della società dalla Borsa.
Aveva ragione De Benedetti senior, dunque, nella polemica un po’ sguaiata di ottobre coi suoi eredi, anche se la sua offerta da 40 milioni per l’intera società (a bilancio per sei volte tanto) era più che altro una provocazione. Il valore del gruppo Gedi, peraltro, è confermato a circa 240 milioni - al lordo dei 120 milioni di passivo - anche nel report dedicato alla società da Mediobanca questo mese. Problema: tre quarti del valore è dato dal comparto “radio”, quello dei quotidiani e periodici - nonostante si parli di 25 testate - è assai lontano dal 20% (una quarantina di milioni).
La bugia in redazione Mercoledì i vertici del gruppo avevano smentito la vendita al Cdr e al direttore
NUMERI che renderebbero più conveniente una vendita “a spezzatino”, opzione non esclusa quando sarà conclusa l’operazione (controllo agli Agnelli e delisting, appunto). I comitati di redazione dei giornali del gruppo, Repubblica in testa, si aspettano ora di sapere assai in fretta cosa intende questo vecchio-nuovo azionariato. Domanda legittima, tanto più che la strategia di Elkann in questi anni è stata sempre quella di spostare gli interessi della famiglia fuori dall’Italia: cosa vuol farci adesso con tutti quei giornali e una società in perdita? Al momento lo sanno solo gli interessati. È però di certo una coincidenza interessante che questa operazione vada di pari passo con la cosiddetta “fusione” tra l’ex Fiat e Psa, operazione che vedrà fin da subito i francesi al comando e nel medio periodo potrebbe riservare pessime notizie per gli insediamenti produttivi in Italia.