Il coraggio di Sinisa: “Si può non essere forti”
Più che “La Panchina d’Oro”, il trofeo che i suoi colleghi allenatori vorrebbero gli fosse assegnato (“Ma lo accetterei solo se fosse per il mezzo miracolo che ho compiuto la stagione scorsa qui a Bologna: se invece volessero darmelo per la malattia, non m’interesserebbe”), per lui bisognerebbe inventare un premio che non c’è, come “Il Paziente d’Oro”. Perché per la prima volta, nella conferenza stampa tenuta a distanza di un mese dal trapianto di midollo osseo seguito alla diagnosi di “leucemia acuta mieloide” fatta dai medici dell’Ospedale Sant’Orsola ai primi di luglio, un “malato famoso”, Sinisa Mihajlovic, 50enne allenatore serbo del Bologna oltre che ex calciatore di Stella Rossa, Roma, Sampdoria, Lazio, Inter e nazionale jugoslava, ha voluto rivolgersi ai “malati qualunque”, quelli che nessuno vede e nessuno intervista, per far passare un messaggio importantissimo: “Voglio dire a tutti quelli che sono gravemente malati di non sentirsi meno forti se non affrontano la malattia con la forza con cui l’ho affrontata io; non devono avere vergogna o paura o sentirsi disperati per questo, ognuno ha la sua personalità e reagisce a suo modo. L’importante è non perdere mai la voglia di vivere perchè poi vi troverete ad apprezzare cose alle quali mai avevate fatto caso: come uscire e respirare aria fresca. È bellissimo, io ora ci sto attento: sempre. Per quattro mesi sono rimasto in una stanzetta d’ospedale con acqua e aria filtrata, e se volevo prendere una boccata d’aria fresca non potevo. Questa è una malattia bastarda, serve pazienza. Una dote che non avevo, ma che ho dovuto scoprire e che oggi mi rende un uomo m ig li or e”. Il professor Michele Cavo, capo dell’equipe medica del Sant’Orsola, e la dottoressa Francesca Bonifazi, che tre anni fa è stata celebrata dal New England Journal of Medicine per aver messo a punto una terapia che abbatte le complicanze mortali dopo un trapianto, passate dal 68 al 32%, erano seduti accanto a Mihajlovic. “Certamente lo spirito aiuta – ha detto Cavo –, ma in termini di efficacia della terapia, l’atteggiamento del paziente non c o nt a ”. Insomma: spirito guerriero o spirito remissivo, non è questo che importa ai fini della guarigione, e Mihajlovic e i medici hanno voluto dirlo con forza. Nessun malato si senta mai in colpa se la disperazione, a volte, supera la voglia di lottare.
“A TRENTA GIORNI dal trapianto possiamo dire che c’è stato attecchimento: un passo fondamentale – ha spiegato Bonifazi –. Ma occorre cautela, i primi cento giorni sono importantissimi, ora siamo solo a trenta. Il ritorno alla vita normale di Sinisa dovrà essere graduale”. Mihajlovic ha poi detto molte commoventi cose. La più bella: “Grazie a mia moglie. Mi è stata accanto ogni giorno. È l’unica persona al mondo ad avere più palle di me. La amo. E grazie ai miei figli: tutti disposti a essere miei donatori. Sono la mia vita”.