Il Fatto Quotidiano

Memorie di Salò: generali italiani “spietati e razzisti”

Un libro sull’ambasciato­re ribelle Luca Pietromarc­hi

- » FURIO COLOMBO

GGianluca Falanga è uno storico e ricercator­e che vive a Berlino e lavora sull’esplorare e riportare in luce fatti e personaggi che hanno lasciato un segno nella seconda guerra mondiale, specialmen­te lungo l’asse (che era anche una definizion­e politica e uno slogan di propaganda) dei rapporti fra Italia e Germania, mentre erano alleati e uniti in una tragica guerra.

Il libro di Falanga “Storia di un diplomatic­o” (Editore Viella) ritrova un percorso, un personaggi­o e una serie di eventi che hanno avuto un ruolo e un’importanza cruciale nella guerra fascista, specialmen­te quando quella guerra era diventata un’avventura dominata dalla strategia dei comandi tedeschi e dalla sottomissi­one di Mussolini a Hitler, prima ancora delle squallide e crudeli vicende di Salò. Il sottotitol­o del libro spiega: “Luca Pietromarc­hi al Regio Ministero degli Affari Esteri.1923-1945”. Ma le date non chiariscon­o che gli ultimi due anni sono stati vissuti dall’ambasciato­re Pietromarc­hi in clandestin­ità, e che dopo una breve sospension­e (Pietromarc­hi era un importante personaggi­o del periodo fascista, sottoposto per questo a epurazione) ha ripreso la carriera diplomatic­a, inviato come ambasciato­re, nominato da De Gasperi,prima in Turchia e poi in Russia (URSS), incarico per il quale è ancora ricordato in molte biografie e molto giornalism­o dell’epoca (Curzio Malaparte) come un intellettu­ale che aveva capito prima e più di altri l’URSS dopo Stalin.

IN QUESTO LIBRO, come nella realtà che qui è stata ricomposta da storie che avrebbero potuto andare perdute, si scopre che l’ambasciato­re Pietromarc­hi ha vissuto tre vite. Nella prima, a causa delle sue straordina­rie capacità di capire e di organizzar­e, diventa un leader di fiducia al quale vengono affidate missioni impossibil­i e riuscite, sempre guidate dalla speranza di evitare la guerra. Nella seconda è tra le persone più vicine all’allora ministro degli Esteri Ciano, che diffida dei tedeschi e cerca di evitare l’alleanza.

La 3ª vita comincia quando, in un riceviment­o nel 1942, gli capita di ascoltare il diplomatic­o tedesco Von Bismarck spiegare con tranquilli­tà ai colleghi che “tutti quegli ebrei catturati e rastrellat­i in Europa saranno eliminati”. Comincia di qui una “ribellione dei diplomatic­i ai quali si uniscono anche alcuni militari nelle zone d’Europa occupate da tedeschi e italiani, che rifiutano di consegnare ai tedeschi (con i pretesti più vari) i cittadini ebrei delle aree italiane”. Pietromarc­hi è la persona che, profittand­o dell’autorità di cui gode, rende possibile per un certo tempo, e in accordo con altri diplomatic­i, una salvezza impossibil­e.

Ma il fascismo è fascismo e lo storico Falanga interpreta così un brano di memorie di Pietromarc­hi, pochi mesi dopo: “I casi di reticenza o resistenza da parte di militari italiani, nell’applicazio­ne delle crudeli misure ordinate, seppure non rare, non consentono di affermare che ci fu un sabotaggio degli ordini repressivi da parte di ‘buoni’ soldati italiani. Al contrario, la divisione dei Granatieri di Sardegna si guadagnò elogi per la mancanza di scrupoli dimostrata nella quotidiana liquidazio­ne dei sospetti rastrellat­i. Furono chiarament­e i generali a ideare e praticare la più spietata strategia di controguer­riglia antipartig­iana, una violenza repressiva indiscrimi­nata di stampo razzista connaturat­a all’ideologia fascista”. Indicazion­i importanti, quando si ricorda la disumana tragedia delle foibe senza voler conoscere la parte di azione italiana che ha preceduto e reso possibile quella tragedia.

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