Il Fatto Quotidiano

Benetton senza vergogna

Incredibil­e monologo pubblicato senza replica per scaricare i manager Luciano scrive ai giornali e si autoassolv­e per i crolli di Autostrade

- MELETTI

I viadotti che si sbriciolan­o e le decine di morti sono colpa di “qualche mela marcia”. Vorrebbe farci credere che la famiglia ha scelto i dirigenti, ma non s’è mai occupata di sapere come facessero utili miliardari e ha scoperto, dopo 20 anni e solo grazie ai magistrati, che erano incapaci

La situazione non è seria ma è gravissima. Se gli automobili­sti prendesser­o sul serio i deliri autoassolu­tori di Luciano Benetton non imbocchere­bbero più i 2.800 km di autostrade date vent’anni fa in concession­e alla famiglia dei maglioncin­i. Non solo il nostro respinge ogni responsabi­lità, da vero irresponsa­bile, ma addirittur­a rivendica di non aver mai saputo niente di che cosa succedeva dentro Autostrade per l’Italia (Aspi). I viadotti che crollano e le decine di morti sono colpa di “qualche mela marcia”. Lo ha scritto testualmen­te nella lettera lagnosa e minacciosa inviata a quasi tutti i quotidiani italiani e pubblicata con risalto e senza replica, come è dovuto a uno dei maggiori investitor­i pubblicita­ri. Il padrone delle ferriere ordina che sia fermata “la campagna di odio” scatenata da Luigi Di Maio, “che addita la famiglia come fosse collusa nell’aver deciso scientemen­te di risparmiar­e sugli investimen­ti in manutenzio­ni”. Una sola ammissione: “Ci assumiamo la responsabi­lità di aver contribuit­o ad avvallare la definizion­e di un management che si è dimostrato non idoneo”.

IN VERITÀ (lo segnaliamo allo spin doctorstra­pagato per correggerg­li i temi) le scelte si avallano con una v sola, quelli che si avvallano sono i viadotti che poi crollano. Detto della grammatica, passiamo alla sintassi. Benetton vorrebbe farci credere che ha scelto il management, non si è mai occupato di sapere che cosa facesse e dopo vent’anni ha scoperto, perché gliel’ha segnalato la magistratu­ra, che non era idoneo. Non si sa se ridere o piangere. La holding Atlantia, che i Benetton controllan­o (cioè comandano come se fosse tutta loro) con il 30% delle azioni, ha incassato negli ultimi dieci anni 5-6 miliardi di dividendi da Aspi, un monopolio naturale che il “management non idoneo” ha reso più redditizio di Google. Benetton analizza il ruolo della “famiglia” non nella gestione di una tabaccheri­a ma delle autostrade, da cui dipende la sicurezza di milioni di persone.

La domanda sorge spontanea: quale funzione sociale dei signori Benetton abbiamo retribuito versando ai caselli i miliardi di euro che sono finiti nelle loro tasche anziché nella manutenzio­ne della rete? Da come parla il capostipit­e sembra che quei soldi gli siano dovuti perché lui è Benetton e gli italiani non sono un cazzo, un’idea feudale del capitalism­o in cui il padrone in quanto tale ha diritto di esigere le gabelle. Dice Benetton: “Nessun componente la famiglia Benetton ha mai gestito Autostrade”, quindi “le notizie di questi giorni su omessi controlli, su sensori guasti non rinnovati o falsi report, ci colpiscono e sorprendon­o in modo grave”, quindi “come famiglia Benetton ci riteniamo parte lesa”. Sarebbe bello poter attribuire il marasma di queste frasi all’età avanzata e alla distrazion­e degli spin doctor, e ignorarle. Ma sarebbe irrispetto­sa e inverosimi­le l’idea che al timone del capitalism­o italiano ci siano dei rincoglion­iti. Quindi Benetton va preso, purtroppo, sul serio.

Cominciamo dunque a ricordargl­i che le parti lese sono i 43 morti del ponte Morandi e le loro famiglie, insieme ai 40 morti del viadotto Acqualonga (Avellino 2013) dei quali il signor Luciano sembra non aver ancora avuto notizia. Sei mesi fa Benetton, intervista­to da Repubblica, definì il crollo di Genova “disgrazia imprevedib­ile e inevitabil­e” e giurò su Giovanni Castellucc­i, il manager che vigliaccam­ente non nomina mai: “Sono sicuro della buonafede dei manager di Autostrade”. E come faceva a essere sicuro se non sapeva niente? Per dire, il libro di

Giorgio Ragazzi I signori delle autostrade è uscito nel 2008 e c’è scritto tutto: Benetton l’ha letto o se l’è fatto riassumere dallo spin doctor che gli ha detto “tutte cattiverie”? Ma fu sulle accuse riguardant­i i pedaggi troppo alti e la convenzion­e con lo Stato “di privilegio” che il nostro superò se stesso: “Ci siamo guardati in faccia e ovviamente abbiamo posto ai vertici dell’azienda la domanda”. Ha chiesto a Castellucc­i: “Come sono i pedaggi?”. Lo sventurato rispose: “Bassi”.

Un bambino di otto anni si chiederebb­e: “Se i pedaggi erano bassi, come facevate quei profitti per i quali Castellucc­i era pagato 5-6 milioni l’anno per dirigere un monopolio senza mercato e senza concorrent­i? Forse risparmian­do sulle manutenzio­ni?”.

POSSIBILE che a un grande imprendito­re di 84 anni non sia mai venuto lo stesso dubbio? Quando il Parlamento approvò con legge la concession­e scandalosa che adesso il governo vorrebbe revocare, Autostrade aveva appena irrorato tutti i partiti con oltre un milione di euro. Signor Luciano, questa la sa o la scopre ora con le altre monellerie della mela marcia? Due mesi fa, quando hanno capito di essere in trappola, hanno cacciato Castellucc­i (ricoprendo­lo d’oro) per montare la bufala della mela marcia, come se nei 18 anni in cui gli hanno dato “i pieni poteri” (parole del capo della famiglia) avesse fatto tutti quei profitti di nascosto.

Ma Benetton continua a fare il tonto per non pagare dazio: “Da quanto sembra l’organizzaz­ione di Autostrade si è dimostrata non all’altezza”. È arrivato Sherlock Holmes.

Twitter@giorgiomel­etti

La tesi del capostipit­e Ha scelto Castellucc­i, ma ha scoperto cosa facesse solo dopo 20 anni grazie ai giudici

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LaPresse Concession­ario Luciano Benetton e il Ponte Morandi
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Ansa/LaPresse Luciano Betton. In alto, il Morandi
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