Il Fatto Quotidiano

L’Eurocazzar­o

- » MARCO TRAVAGLIO

Ce ne vorrebbe uno al giorno, di confronto Conte-Salvini in Parlamento, per far capire agli italiani da chi sono governati oggi e da chi rischiano di esserlo domani. Da una parte una persona seria e competente. Dall’altro un caso umano in stato confusiona­le. Ieri, alla Camera e al Senato, si è visto un premier che sa ciò che dice e conosce le materie che tratta. E un aspirante successore che palesement­e denota “disinvoltu­ra a restituire la verità e resistenza a studiare i dossier”. Conte ha puntualmen­te ricostruit­o l’iter del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), il costante coinvolgim­ento del Parlamento e dei ministri dei suoi due governi fin da quando, il 27 giugno 2018, appena arrivato, il premier riferì le proposte della Commission­e europea. E nessuno fece una piega. Due giorni dopo, al vertice Ue, Conte propose modifiche alla bozza del Mes e l’11 dicembre tornò a riferirne alle Camere: nessun’obiezione neppure allora. Ne riparlò al Parlamento il 19 marzo, vigilia del Consiglio europeo. E di nuovo il 19 giugno, prima dell’Eurosummit decisivo. Lì perfino il leghista No Euro Alberto Bagnai gli fece i compliment­i: “Mi permetta, signor Presidente del Consiglio, di ringraziar­la per il fatto che lei, in applicazio­ne di questa norma e in completa coerenza con quel principio di centralità del Parlamento, fin dal primo giorno, affermò in questa sede di voler rispettare, sia venuto ad annunciarc­i che questo approfondi­mento tecnico ci sarà”.

Intanto anche i ministri direttamen­te interessat­i, da Tria a Savona, riferivano infinite volte in Parlamento, in aula e nelle commission­i (a partire da quelle presiedute dai leghisti anti-Ue Borghi & Bagnai). E anche lì tutti muti. Per non parlare dei sette fra vertici di maggioranz­a e riunioni tecnico-politiche e dei cinque Consigli dei ministri convocati da Conte sul Mes o su vari temi fra cui il Mes: lì c’erano sempre il vicepremie­r Salvini e i suoi ministri, viceminist­ri e sottosegre­tari: gli stessi che accusano il premier di aver fatto tutto di nascosto, di notte, a loro insaputa. Che facevano? Pensavano che il Mes fosse un vermouth? Dormivano? Si facevano piedino? Twittavano? Postavano su Facebook e su Instagram? Giocavano con l’iPhone? Guardavano porno sull’iPad? Se questi cialtroni straparlas­sero al bar o al Papeete, poco male: nessuno ne pagherebbe le conseguenz­e. Invece parlano ai media e in Parlamento: sono settimane che chiedono le dimissioni del premier (Salvini, già che c’è, anche l’“arresto per alto tradimento”, reato che può commettere solo il presidente della Repubblica) e scatenano risse e gazzarre in Parlamento.

Così quelle immagini e quegli sproloqui fanno il giro del mondo, screditano l’Italia e contribuis­cono al rialzo dello spread, dopo mesi di bonaccia. E le conseguenz­e le paghiamo tutti noi. Questo è il vero, unico alto tradimento. O aggiotaggi­o, come suggerisce Monti. Quando Conte ha concluso il suo intervento ha parlato - anzi, ha ruttato - Salvini. Ci si attendeva che estraesse un formidabil­e asso dalla manica per inchiodare definitiva­mente il premier al suo alto tradimento e condurlo dritto e filato a Regina Coeli. Invece, come il 20 agosto - nel dibattito sulla crisi del mojito, come sempre - non aveva nulla di nulla. Nè nella manica, né nella testa.

Dopo aver calunniato Conte per giorni e giorni e mentre gli intimava di “vergognars­i” non si sa per cosa, il Cazzaro Verde si è travestito da linosotis simbolo di “umiltà” che cita Confucio senza sapere chi sia e – bontà sua – “non replica agli insulti” e “non fa querele” (solo a noi, nove in tre anni: tutte perse) perchè uso a “rispondere col lavoro”. Non avendo mai lavorato un minuto in vita sua. Si vedeva chiarament­e che non ha la più pallida idea del Mes. Infatti ha attaccato un comiziacci­o da bar sull’Ilva e l’Alitalia, che non c'entrano una mazza e che la Lega ha sul groppone per i suoi 10 anni al governo su 25 (il quintuplo di Conte). Poi è passato alle barzellett­e. Tipo questa: “Le banche in difficoltà sono in Germania, non in Italia” ( ciao, core). O quella sulla raccolta firme di domenica prossima in “mille piazze d’Italia”(e perchè non centomila?) per “abrogare il Mes” (che non è stato ancora firmato e comunque non può essere abrogato) e “denunciare i papà e le mamme del trattato” (fra gli applausi dei suoi giannizzer­i beotamente ghignanti, anch’essi padri e madri del Mes a loro insaputa).

In un paese normale, un politico ridotto a una figura tanto barbina si scaverebbe una fossa, ci si ficcherebb­e dentro, chiuderebb­e il tombino e ne uscirebbe fra quattro o cinque anni, sperando nella memoria corta della gente. Invece siamo in Italia, dunque il Cazzaro e i suoi simili continuera­nno a blaterare come se fossero dei politici, e non dei soggetti inabili al governo e anche al lavoro. Come quando Salvini accusò Conte di conflitto d'interessi sul caso Fiber 4.0-Retelit, poi si scoprì che il premier s'era astenuto e aveva deciso Salvini. O quandointi­mò al sottosegre­tario Spadafora di “rendere più veloci le adozioni”, poi Conte gli svelò che la delega sulle adozioni l'aveva il suo ministro Fontana. O quando accusò i giallo-rosa di aver bocciato un emendament­o leghista al decreto Fiscale che prorogava le esenzioni dall’Imu agli immobili inagibili per il terremoto, poi si scoprì che era nel decreto Sisma appena approvato alla Camera. O quando strillò contro il Conte2 che imponeva ai sindaci di pignorare il conto in banca a chi “non riesce a pagare una multa”, poi si scoprì che era una balla. In questi casi, si dice che uno non c’era o, se c’era, dormiva. Il guaio di Salvini è che c’è quasi sempre, e bello sveglio. Ma purtroppo non studia, o non capisce. Dargli del cazzaro non è un insulto: è pura cronaca.

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