Il Fatto Quotidiano

CARO DI MAIO, LA TERZA VIA DEI 5 STELLE È IMPROBABIL­E

- DOMENICO DE MASI

Di Maio è certamente un giovane fuori classe: senza avere alle spalle un contesto élitario, con le sue sole forze, è riuscito a mettere insieme un curriculum (vice-presidente della Camera, vice-presidente del Consiglio, Capo del Movimento, tre volte ministro) che nessun trentatree­nne, salvo Gesù Cristo, potrebbe vantare. Se anche oggi abbandonas­se la politica, tuttavia resterebbe nella storia del welfare italiano per avere, con caparbia intelligen­za, introdotto il reddito di cittadinan­za in un paese che odia i poveri: unica cosa di sinistra fatta negli ultimi venti anni.

Certamente più dotato della maggior parte dei suoi colleghi parlamenta­ri, tuttavia Di Maio, quando da politico si fa politologo, rientra nella media e rischia di portare il suo Movimento su strade improbabil­i. Questo pericolo si rivela esiziale di fronte a esternazio­ni, per di più contraddit­torie, come “non ci sono più destra e sinistra” e come “il Movimento deve percorrere una terza via”.

PER ESSERCI UNA TERZA

via ne occorrono altre due, tra le quali intrufolar­si. E queste due non sono Lega o Pd, come si può pensare sbrigativa­mente, ma socialdemo­crazia e neo-liberismo, come avviene da quando l’antitesi al capitalism­o non è più il comunismo. La caduta del muro di Berlino significò che il comunismo aveva perso ma non significò che il capitalism­o aveva vinto. Infatti il comunismo sapeva distribuir­e la ricchezza ma non la sapeva produrre mentre il capitalism­o sa produrre la ricchezza ma non la sa distribuir­e. Tutta qui è la differenza tra destra e sinistra: aumentare il benessere di tutti attraverso la distribuzi­one della ricchezza prodotta o aumentare la povertà di molti attraverso l’accaparram­ento da parte di pochi privilegia­ti. Autonomia delle regioni ricche è di destra; reddito di cittadinan­za è di sinistra (e molta sinistra ha finto di non accorgerse­ne).

Ma da dove nasce questo mito della terza via? I primi a crearlo, quando ce n’erano le ragioni struttural­i, furono i socialisti utopisti come Saint-Simon, Fourier e Proudhon che si opposero con pari forza al liberismo e al marxismo elaborando alternativ­e che spesso riuscirono a tradursi in riforme sociali e iniziative filantropi­che.

Le idee e le azioni di questi “utopisti” prepararon­o le successive proposte di Karl Kautsky e soprattutt­o di Eduard Bernstein con il suo saggio del 1899 I presuppost­i del socialismo e i compiti della socialdemo­crazia.

Questi socialisti storici, opponendos­i alla destra e alla sinistra, si proponevan­o di creare, attraverso un processo democratic­o di riforme graduali, uno Stato sociale basato sulla democrazia parlamenta­re, sul mercato capitalist­ico mitigato dal pubblico intervento regolatore e sull’equa redistribu­zione del reddito. Queste idee si tradussero in modelli e pratiche squisitame­nte europee come le socialdemo­crazie scandinave e il welfare tedesco.

Ma poiché la terza via è una via di mezzo, perciò stesso cela nella sua natura il pericolo della confusione sterile e offre alla destra la scorciatoi­a con cui operare un’Opa sulla sinistra. Mussolini parlava di “Terza via fascista” fatta di corporativ­ismo, autarchia e protezioni­smo; il primo ministro inglese Harold Macmillan a questa idea ispirò il suo governo e, nel 1938 le dedicò un saggio intitolato La via di mezzo in cui cercava di mediare tra liberismo e dirigismo, conservato­rismo e progressis­mo. L’economista svizzero Wilhelm Röpke, consiglier­e di Adenauer, ne parlò in termini di “ordolibera­lismo”, con cui bilanciare l’individual­ismo liberale con la solidariet­à collettiva. Da ultimo, dopo l’ubriacatur­a neoliberis­ta di Nixon e della Thatcher negli anni Ottanta, il sociologo inglese Anthony Giddens, direttore della Lon

don School of Economics, fornì un’ennesima teorizzazi­one della “terza via” con il saggio del 1998 The Third Way: The Renewal of Social Democracy. Applicata da Tony Blair con il nome di new-labour, questa dottrina non gli impedì di portare a termine le privatizza­zioni avviate dalla Thatcher e di condivider­e con il suo amico personale George W. Bush le sanguinari­e operazioni di peacekeepi­ng in Iraq.

BLAIR PARLÒ ESPLICITAM­ENTE DI “TERZA VIA”

in uno speech fin troppo famoso, tenuto alla New world, new capitalism Conference organizzat­a nel 2009 dal presidente Sarkozy e dall’economista Éric Besson. Cosa diceva Blair in quello speech? Diceva che - come ci insegna la crisi - oggi non esiste nel mondo un governo nazionale così potente da esercitare una governance globale. D’altra parte la globalizza­zione è opera dei popoli: è ciò che i giovani hanno scelto di essere. Perciò occorre recuperare la fiducia nel sistema finanziari­o e sostenere decisament­e il new capitalism. Come farlo, Blair lo spiegherà nel 2015, parlando al Think Tank Progress per mettere in guardia il Labour party da un possibile slittament­o a sinistra: “Si vince al centro, si vince quando ci si rivolge a una fascia d’opinione trasversal­e… Abbiamo vinto quando noi siamo stati gli autori del cambiament­o e non piccoli conservato­ri della sinistra”.

Sappiamo tutti come è andata a finire la terza via di Blair e anche quella del suo epigono italiano Matteo Renzi. Quando, alla fine degli anni Sessanta, la interclass­ista Democrazia Cristiana puntava con successo sulla classe media, ne aveva buoni motivi perché questa rappresent­ava il 49,5% in Italia mentre in Gran Bretagna era al 49,3%.Su una popolazion­e attiva di 28 milioni, la classe media, in forte ascesa, superava i 13 milioni.

Oggi, invece, la classe media, sempre più esigua, si proletariz­za di giorno in giorno. Tra il 2007 e il 2017 il patrimonio dei sei milioni di italiani più ricchi è cresciuto del 72%; quello dei sei milioni più poveri è diminuito del 63% e quello degli italiani collocati in mezzo a questi due blocchi è diminuito del 15%. I ricchi diventano più ricchi, i poveri diventano più poveri, la classe media evapora, quel che ne resta è imbufalita e sempre più due blocchi sociali – i ricchi e i poveri – si contrappon­gono frontalmen­te.

È dunque azzardato parlare oggi di terza via: dal momento che non esiste più l’alternativ­a comunista e che nessuno prepara i poveri a riscattars­i con una rivoluzion­e, non resta che la contrappos­izione riformista, ma frontale, tra neo-liberismo e socialdemo­crazia. Questa contrappos­izione, che ingloba quella tra Pd e Lega, colloca il Movimento 5 Stelle a sinistra perché tale è la sua natura e la sua struttura. Secondo l’Istituto Cattaneo, alle ultime elezioni il 37% degli operai, il 38% dei disoccupat­i, 1 iscritto alla Cgil su 3 hanno votato per i 5 Stelle. Da allora, gli elettori dei 5 Stelle simpatizza­nti per la destra sono passati in gran parte con Salvini; Calenda e Renzi, neoliberis­ti camuffati da sinistrors­i, sono andati via dal Pd; dunque sarebbe finalmente arrivato il momento di creare a sinistra un’alleanza solida e combattiva, come richiede il bipolarism­o postulato dai mutamenti socio-economici in atto. Ci sarebbero tutte le condizioni struttural­i per farlo. Ma, come ho detto all’inizio, mancano quelle culturali.

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Ansa Contrasti sociali Lucidatura del padiglione di una casa automobili­stica produttric­e di modelli di lusso
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