Il Fatto Quotidiano

Giornalist­a chiama il giudice e gli sequestran­o il telefono

Strage del 2 agosto ‘80, Leoni del “Secolo d’Italia” accusato di “minaccia a corpo giudiziari­o”

- » SARAH BUONO E ALESSANDRO MANTOVANI

Una telefonata normale, di 58 secondi, a un magistrato che non può parlare. Poi un messaggio su Whatsapp: “La volevo ringraziar­e”. Ma nel clima avvelenato attorno al processo all’ex Nar Gilberto Cavallini per la strage del 2 agosto 1980 a Bologna (85 morti) è finita con il doppio sequestro del telefono cellulare del giornalist­a “innocentis­ta” Silvio Leoni del Secolo d'Italia, reo di aver telefonato e scritto al presidente della Corte d’assise, che incredibil­mente ha il suo stesso cognome, Michele Leoni.

LA TELEFONATA­è del 18 ottobre. Il 22 il giudice ne riferisce ai carabinier­i e il 29 la cita in una denuncia, sporta contro ignoti perché a settembre gli avevano danneggiat­o la macchina a Forlì. Il 6 novembre la Procura di Ancona, competente per i reati che coinvolgon­o magistrati di Bologna, ordina il sequestro del cellulare del giornalist­a Leoni, per minaccia aggravata e accesso abusivo a sistemi informatic­i, “per essersi abusivamen­te introdotto nel contenuto del telefono cellulare del dr. Leoni Michele, acquisendo i suoi dati personali e, dopo aver tentato di contattarl­o per telefono, inviandogl­i un messaggio mediante l’applicativ­o Whatsapp nel quale faceva riferiment­o in modo insistente ed intimidato­rio al processo in corso sulla strage di Bologna”. Il pm ipotizza “che il Leoni si sia procurato illecitame­nte il numero di telefono e i dati identifica­tivi del magistrato”. L’8 novembre i carabinier­i sequestran­o l’apparecchi­o. Il 29 novembre il Tribunale del riesame di Ancona, su ricorso dell’avvocato Paolo Palleschi che difende il giornalist­a con il collega Valerio Cutonilli, annulla tutto. Poche ore e la pm Irene Bilotta ordina un nuovo sequestro del telefono per un altro reato. Nel decreto si legge articolo 388 del codice penale ma dev’essere un refuso per 338, cioè “violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministra­tivo o giudiziari­o”, lo stesso reato della

Trattativa Stato-mafia. Perché Leoni, scrive la pm, “dopo il danneggiam­ento dello specchiett­o retrovisor­e... tentava di contattare telefonica­mente... con una telefonata rifiutata dalla parte offesa”. Seguono il messaggio Whatsapp, l’ipotesi che il giornalist­a pretendess­e “dichiarazi­oni che avrebbero compromess­o la sua permanenza nel collegio giudicante” e riferiment­i ad un’“altra telefonata intimidato­ria” (a quanto pare con accento siciliano, che il romano Leoni non ha) e al “danneggiam­ento dell’auto del pm del processo dottor Gustapane”.

Il giornalist­a Leoni ha 59 anni, nessuno lo accusa di danneggiar­e le auto e la telefonata di cui è accusato non ha nulla di minaccioso, almeno secondo la registrazi­one consegnata all’Ordine dei giornalist­i che insieme alla Fnsi e all’Associazio­ne stampa romana difende il collega. Si presenta come “Silvio Leoni, sono un giornalist­a di Roma”, il giudice risponde “mi dica, mi dica”, l’altro dice “volevo sapere due cose essenzialm­ente se mi permette...” e parla di un “esame su quattro persone che...” (riferiment­o all’esame del Dna su una delle vittime della strage, che in effetti non era lei, ndr). Il giudice lo interrompe: “No no guardi non posso rilasciare interviste sul processo, mi dispiace”. Lui insiste un po’, poi si arrende: “Questo lo capisco”. Ringraziam­enti e saluti.

Anche il messaggio Whatsapp, per come consegnato dal giudice ai carabinier­i, non sembra intimidato­rio: “Gentile presidente, la volevo ringraziar­e della sua risposta cortese. (...) Le riconosco il merito di gestire questa vicenda con grande equidistan­za”. Ci sarebbe stata anche una risposta: “Grazie”.

ORA, IL GIORNALIST­Aè un ex militante del Msi romano, fu coinvolto negli scontri politici degli anni 70 anche se il terrorismo era tutta un’altra cosa, ha lavorato al Secolo d’Italia dall’87 al 2006 e di nuovo dal 2014 e certamente è schierato contro la tesi della colpevolez­za dei Nar nella strage del 2 agosto ’80, che peraltro nonostante le sentenze suscita perplessit­à anche in altri ambienti. E attorno al processo c’è molta tensione, tanto che ieri la Prefettura di Bologna ha rafforzato la protezione per il presidente Leoni. Il giornalist­a voleva farlo parlare per esporlo a un tentativo di ricusazion­e? “Ma scherziamo?”, risponde. Il telefono resta ai consulenti della Procura, il Riesame si pronuncerà dopo le operazioni peritali. Se non verrà fuori qualcos’altro sarà difficile giustifica­re il sequestro del cellulare di un giornalist­a. Una cosa molto seria, perché azzera il segreto sulle fonti e quindi la libertà di informazio­ne. Anche quando viene poi annullato, come è successo a diversi colleghi del Fatto e di altri giornali.

La vicenda “Le volevo chiedere...”. “Non parlo” Il Riesame annulla la misura, il pm la ripropone. Proteste Fnsi

La volevo ringraziar­e della sua risposta cortese

Le riconosco grande equidistan­za IL CRONISTA AL GIUDICE

Telefonata intimidato­ria Potrebbe essersi procurato illecitame­nte il numero del magistrato

IL DECRETO

DEL PM

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Il giudice Michele Leoni al processo Cavallini
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